"Centostelle"

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“Centostelle” e una stesura ignota della più antica poesia di Luzi
di Stefano Verdino

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Le antologie scolastiche sono una miniera, per gran parte inesplorata e finora troppo snobbata dagli studiosi, a guisa di una fantesca, necessaria sì e ben presente, ma da non tener in conto come interlocutrice. E pensare quanto della memorabilità dei testi si deve alle antologie e quanta lettura e memoria dei lettori, anche dei massimi e accaniti, ha radice in quei sussidiari, voluminosi e molesti per il peso, in zaini e cartelle.

Nella dismissione della biblioteca appartenuta a Giuseppe Parodi (S.Quirico in Valpolcevera, 1910 –1985), lettore non professionista, ma di qualità e passione dagli anni Trenta (tante edizioni Vallecchi di Papini, Lisi, Cicognani, Tombari e altri), ho rinvenuto, per cortesia del nipote Gianfranco Garotta, un esemplare della prima edizione di Centostelle “antologia per la scuola media” compilata da Piero Bargellini ed edita da Vallecchi nel 1941 (la fine di stampa è 10 settembre 1941, il controfrontespizio dice luglio, mentre il saluto introduttivo del compilatore è datato “Firenze, marzo 1941-XIX”)1.

Piero Bargellini2, come è noto, è stato tra i protagonisti della cultura cattolica fiorentina degli anni Trenta, fondando e dirigendo (1929-39) “Il Frontespizio”, la rivista che fu ponte tra la generazione protonovecentesca dei Papini e Soffici e i giovani laureati dell’ateneo fiorentino, da Carlo Bo (che vi scrisse il memorabile saggio Letteratura come vita) a Mario Luzi. A Bargellini si deve l’essenziale mediazione tra quelle due diverse generazioni, che poco in realtà si amavano e convivevano sempre più a fatica su quella rivista (da cui poi la sua fine e la fondazione da parte dei giovani di “Campo di Marte”). Bargellini, decorato di guerra sul Monte Grappa, era soprattutto un biografo (S.Bernardino, Carducci, S.Francesco) ed un divulgatore delle due somme glorie della sua città, la letteratura e l’arte. Di Firenze fu anche il sindaco, proprio nel tempo funesto dell’alluvione del ’66. Di mestiere fu insegnante e fece tutta la trafila da maestro elementare a ispettore scolastico centrale (1937-48). Centostelle nasce come risposta alla nuova scuola media, voluta dal Ministro Bottai, di cui fu amico. Un’antologia quindi innovativa e autorevole, della cui forte esposizione era ben conscio l’Ispettore Bargellini, come ne scrive a Carlo Betocchi, amico di una vita, nel febbraio 1941: “il livello dei professori è molto basso. Io sto preparando per loro un’Antologia e temo anzi tremo che riuscirà incomprensibile”3

Nelle preliminari Confidenze agli insegnanti dopo aver fatto una breve storia delle antologie nella scuola postunitaria (e aver reso omaggio alle compilazioni di Carducci e Pascoli), Bargellini critica l’arcaismo dei precedenti manuali, troppo consegnati a desueti modi di bello scrivere ottocentesco: “Per loro la letteratura andava ancora in calessino, mentre ormai si viaggiava in altro modo”. Un altro attacco è poi riservato all’uso dell’antologia, considerato punitivo e deprimente, tra il riempitivo delle ”mezz’ore d’avanzo” e il campo di esercitazione per riassunti e prove di analisi logica, mentre “insegnare a leggere” è per il compilatore fiorentino il lavoro ancora da farsi.

Per svolgere il suo compito Bargellini elimina le favole (“Sono veleni e noi, di solito, le diamo come primo latte ai nostri ragazzi”) e apre ai contemporanei, scandendo la materia in capitoli: si parte dalle “Bestie” “dal vero” (e non nell’allegoria della fiaba), poi “La Famiglia”, “Il lavoro”, “I poveri”, “I paesi”, “La religione”, “La guerra”, “Mussolini” (“Di Mussolini – scrive ahimè! scimmiotto manzonino – il ritratto di un uomo che dà il suo volto a un secolo di storia”), “La poesia” e “Lo sport”, mentre racconti e novelle hanno più sezioni d’intermezzo. A ultima novità Bargellini segnala “i disegni nel testo e le tavole fuori”, pedagogicamente motivanti in quanto “i disegni nel testo arieggiano la pagina, accompagnano i brani letterari e a loro modi li commentano”.

Innovazione decisiva, non v’è dubbio e di elevata qualità d’arruolamento, dal momento che primeggiano Carrà (cinque disegni e una tavola), Primo Conti (sette disegni e una tavola), Manzù (dieci disegni e una tavola), Morandi (cinque disegni e una tavola), Rosai (otto disegni e una tavola), Soffici (sette disegni e una tavola), ma vi rinvengono anche un Birolli, un Campigli, un Casorati, tre De Chirico, un De Pisis, un Mafai, un Sironi, tre Viani.

L’emblematico capitolo sulla Guerra, per un’antologia uscita nel bel mezzo della Seconda, si avvia con La battaglia di Campaldino, di dantesca memoria (nella cronica di Dino Compagni) passa al Rinascimento di Giovanni dalle Bande Nere (nelle Lettere dell’Aretino) e presto si concentra sulla Prima “inutile strage”, con brani, tra gli altri, di D’Annunzio, Renato Serra, Mussolini, Soffici, Stuparich, Pastorino, Comisso, Gadda e Jahier. Il fervore dell’impresa d’Etiopia è consegnato alle pagine di Montanelli, Adriano Grande e Aldo Capasso, mentre grande spicco è dato alla guerra in corso, con recuperi di articoli dalla stampa quotidiana d’epoca: ed ecco dal “Corriere della Sera” ancora Montanelli, Vittorio G.Rossi, Virgilio Lilli e Paolo Monelli, da “Oggi” Curzio Malaparte.

Oltre che in guerra, siamo purtroppo in età razziale, per cui invano cercheremo Svevo, Saba o Moravia, tra i tanti generosi arruolamenti moderni, come irreperibile è d’altra parte Benedetto Croce, ma a sorpresa c’è una poesia (Cacciatore) di Garcia Lorca, nella liminare sezione “Bestie”.

Nelle “Notizie sugli scrittori d’oggi” di Lorca si dice succintamente “morto ancor giovane durante la rivoluzione, nel 1936”; la sua precoce presenza si deve sicuramente a Carlo Bo, che firma la traduzione ed era buon amico di Bargellini, al punto che questi lo presenta nelle inedite vesti di narratore memorialista, con un ritratto della Nonna Tavia, uscito anni prima sul “Frontespizio” (maggio 1931).

L’autarchismo fa sì che le presenze straniere siano al minimo (ma era prassi del tutto comune nelle antologie); con Lorca vi è comunque un non meno sorprendente Trakl; Hans Carossa, Turghenieff e il polemista cattolico francese Veuillot con un passo da Le parfum de Rome (1861) chiudono la brevissima serie, nulla concedendo, ovviamente, alla Perfida Albione belligerante (ma neanche, invero, ad un postremo filogermanismo, certo poco grato al combattente Bargellini della Prima guerra).

La scelta del Novecento letterario italiano rende omaggio ai Maestri compatibili con il regime, D’Annunzio e Pirandello, ma con i morsi del cattolico militante, giacché D’Annunzio va raccontato oltre che nella Vita inimitabile anche “nella tristissima desolazione di chi, non avendo la fede, vede cadere ad uno ad uno tutti i cosidetti ‘ideali’ dinanzi al terrore della morte, che lo colse in piedi, nel suo Vittoriale”; per Pirandello una clausola di bella perfidia: “Tutte le sue novelle, tutti i suoi romanzi, tutti i suoi drammi costituiscono un complesso imponente e coerente di grande arte e di desolata filosofia”. Trai i viventi narratori Bargellini predilige un bell’ assortimento di toscani da Papini a Soffici, da Tozzi a Viani, da Rosai a Palazzeschi, da Sanminiatelli a Bilenchi, forse il più giovane ospitato (con il fiumano ‘surrealista’ Enrico Morovich).

Il Novecento poetico italiano vede una coraggiosa apertura con Dino Campana (con Gli Uffizi di Firenze); seguono Onofri, Papini, Palazzeschi (con Rio Bo; di infinita fortuna antologica), Ungaretti (Trasfigurazione, San Martino del Carso), Cardarelli, Montale (Meriggiare), i poeti cattolici da Barbara Tosatti a Fallacara, Betocchi e Barile; chiude un quartetto memorabile: Gatto, Sinisgalli, Luzi, Quasimodo dei Lirici greci.

Luzi è il più giovane degli autori, allora nemmeno ventisettenne, ed era vecchia conoscenza di Bargellini, dal “Frontespizio” del ’37, dove il giovane poeta collaborava per tramite soprattutto di Betocchi (e di Bo), come si evince dagli epistolari4. In Centostelle di Luzi si legge una breve poesia, Toccata, ed è l’unico testo senza riscontri bibliografici, perché è l’unico testo ad essere un assoluto inedito. Data la confidenza tra compilatore e poeta, Luzi consegnò a Bargellini quel testo inedito, perché era relativamente semplice, vista la destinazione antologica. Ma Toccata ha un’altra importante caratteristica: a parte alcuni puerilia, è il più antico testo poetico di Luzi e sarà datato 1932 nell’indice di Il giusto della vita del ’60; né la riapparizione delle Poesie ritrovate del ’33-35 (edite nel 2003) hanno scalzato quel primato. L’anno dopo, nella seconda edizione modificata di La barca, stampata a Firenze, da Parenti nel settembre 1942, Luzi riprenderà Toccata e la porrà, insieme a Serenata di piazza D’Azeglio, come in limine del libretto. Rispetto a questa stampa in volume, l’anteprima di Centostelle presenta due varianti ortografiche: l’introduzione di due virgole a fine verso, che scandiscono con più regolarità l’andamento ad anafora finale: “nel vano delle porte, / nei fiumi tenui di cenere, / nel tuo passo echeggiato dalle volte”. Le virgole non ci sono in La barca del ’42 e nemmeno in un autografo di questa stessa poesia, incollata alla copia della Barca 1935 posseduta da Oreste Macrì, il critico letterario compagno e amico di Luzi, e che servì come copia di servizio per l’edizione 19425. Ma l’autografo luziano in questo caso potrebbe essere successivo a questa stesura con più canonica punteggiatura, anche se non possiamo escludere una regolarizzazione voluta dal compilatore6. Non possiamo sapere. Ma di una qualche curiosità è comunque registrare questa primizia luziana apparsa non sulle riviste di punta dei fervidi intellettuali, ma nelle pagine di servizio di una antologia per la scuola, con una precisa e utile parafrasi di Bargellini: “Il titolo ricorda quello delle composizioni musicali: un accordo di note, di immaginazioni che ricompongono uno stato d’animo. Ecco l’aprile. Il cielo è uggioso: la pioggia solleva dalla terra il primo sentore della polvere. Alle finestre riappaiono le stuoie, appena mosse da un soffio di vento, che è come una ferita nella quiete del giorno. Le porte aperte, ma ancora deserte, suggeriscono la presenza di una vita svagata (aliena); lo stesso senso di vita ancora vuota è nello scorrere dei fiumi cinerini e nel rumore dei passi che suonano lontani nell’interno delle case”.

S.Verdino, La più antica poesia di Luzi in antologia, “Wuz”, V, 2, marzo-aprile 2006, pp. 41-44.

1 Il volume di 22 cm. ha 669 pp. e 24 tavole fuori testo. Nel 1942 ne esce una seconda edizione “leggermente modificata”, di 624 pp. e 21 tavole; nel 1946 Le nuove centostelle, antologia per la Scuola Media Inferiore di pp. 542 e 42 tavole, con le ovvie correzioni delle pagine inevitabilmente fasciste.

2 Piero Bargellini (Firenze 1897 – ivi 1980), insegnante, cattolico militante, nel fascismo vicino a Bottai, poi democristiano; Assessore (1951-56) e poi Sindaco di Firenze (1966-67); infine Senatore (1968-72). Autore di numerosi volumi di saggistica, spesso biografica. Cfr. R.Bertacchini, nel Dizionario Biografico degli Italiani – Primo Supplemento A-C, Roma 1988.

3 La lettera ora si legge nell’epistolario recentissimamente pubblicato P.BARGELLINI – C.BETOCCHI, Lettere (1920 – 1979), a cura di Maria Chiara Tarsi, Novara, Interlinea, 2005, p. 162. Altri importanti epistolari: L.BEDESCHI, Il tempo del “Frontespizio”. Carteggio Bargellini-Bo 1930-1943, Milano, Camunia, 1989; P.BARGELLINI – G.DE LUCACarteggio, I (1929-32), a cura di G.Scudder, Roma, Storia e Letteratura, 1998.

4 Al proposito nelle lettere tra Bargellini e Betocchi dell’estate ’38 si scaramuccia un poco su Europa , che uscirà sul “Frontespizio” di novembre 1938 (e sarà poi accolta in Avvento notturno) e che costituisce, pur nel cifrato ermetismo, un testo a suo modo di disagio civile per quella cupa estate del ’38 (tra Monaco e le Leggi razziali); a Bargellini non piace, ma Betocchi, pur con riserve (“per me non è proprio nel mio genere”) sostiene: “potrei sempre prendermi l’impegno di difenderla” (Firenze, 1 settembre 1938, in P.BARGELLINI – C.BETOCCHI, cit., p. 145).

5 Nell’edizione ne varietur del Giusto della vita (1960), che raccoglie tutto il primo Luzi (dal 1935 al ’57) la poesia ha solo una correzione: elimina l’arcaico e popolaresco “stoia” (che era anche un debito con il D’Annuzio alcionio e notturno) per il corrente “stuoia”. Per notizie ulteriori (anche sull’autografo posseduto da Macrì) cfr. M.LUZI, L’opera poetica, a cura di S.Verdino, Mondadori, Milano 1998, p. 1317 e p.1324.

6 Così autorizzerebbe a pensare l’inserzione in Centostelle di una virgola nel celebre Meriggiare montaliano al v. 14 (“Sentire con triste meraviglia, /com’è tutta la vita”, ecc.), irreperibile nell’edizione Carabba di riferimento e in ogni altra stampa degli Ossi. Ma questo caso potrebbe essere anche un banale refuso, mentre quello luziano, con due occorrenze, è impossibile.