Dino Campana

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Il Quaderno di Dino Campana

Mario Luzi: un eccezionale ritrovamento fra le carte di Soffici.

dal Corriere della Sera del 17-VI-1971

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La sparizione del quaderno manoscritto delle poesie di Dino Campana fa parte ormai della leggenda artistica novecentesca, ne è anzi uno degli episodi più coloriti e, dato il personaggio della vittima, perfino più drammatici. Non mancarono insinuazioni sul conto di Papini e Soffici, consegnatari dell’inedito; non mancarono da parte del poeta propositi, pare, di vendetta sanguinaria, d’altronde sbolliti ben presto se è vero che poco dopo pubblicò una poesia ispirata da un quadro di Soffici e ancora a Soffici si rivolse, qualche anno più tardi, in un momento di disperazione.

Nei Ricordi di vita artistica e letteraria Ardengo Soffici racconta con molta nitidezza di particolari la circostanza dello strano abboccamento nella tipografia di Lacerba la timida proposta di collaborazione di Campana, la consegna del quaderno nelle mani di Papini che in seguito, avendoci trovato “cose molto buone”, lo passò a Soffici che fu dello stesso parere. Campana frattanto era sparito nel nulla così come dal nulla era apparso. Quando si ripresentò a Firenze si astenne dal sollecitare risposta e del quaderno, stranamente, non fu fatta parola, né da una parte né dall’altra.

Fin quando “verso la primavera del quattordici – scrive Soffici – ricevetti da Marradi una sua lettera con la quale mi richiedeva il manoscritto, di cui mi diceva non avere altra copia, e che intendeva pubblicare in volume. Ma io dovetti allora scusarmi di non poterglielo mandare: in un trasloco che nel frattempo avevo fatto da una stanza ad un’altra dei miei libri e delle mie carte, il libriccino era andato confuso nel gran sottosopra, e domandavo tempo per rintracciarlo.

Tentai infatti di farlo: ma inutilmente: pensavo del resto che la cosa non fosse di grandissima urgenza, tanto più che Campana, dopo quella prima richiesta, non aveva fatto alcun’altra pressione, e anzi non dava più alcuna notizia di sé. Passarono così vari mesi. Quand’ecco che un giorno in cui mi trovavo a Firenze guardando distrattamente nella vetrina di un libraio di via Martelli, il mio sguardo fu attratto da un libro giallo dall’aspetto francese ma che non era francese, e sulla copertina del quale spiccava un titolo che subito mi piacque: Canti Orfici. Lessi il nome dell’autore: ed era quello di Dino Campana. La gioia e lo stupore di quella scoperta si confusero nel mio animo, come se l’autore in persona mi fosse comparso davanti improvviso, porgendomi insieme un regalo e rimproverandomi la mia negligenza, alla quale egli aveva così inesplicabilmente messo riparo.

Infatti la materia del volume, che subito entrai a comprare e sfogliai febbrilmente, era la stessa di quella dello scartafaccio smarrito, appena ritoccata qua e là, e con soltanto un paio di componimenti aggiunti, fra cui i versi dedicati al mio quadro futurista dell’inverno passato”. Così inesplicabilmente, dice Soffici. Era stato infatti un prodigio di ricostruzione mnemonica, sebbene il lavoro non si fosse limitato a questo. Un caso fortunato, verificatosi di recente proprio in casa Soffici, ci permette di obiettare che la memoria del pittore-scrittore fu in questo caso un po’ approssimativa.

L’edizione Ravagli dei Canti Orfici era trasformata, rispetto al manoscritto disperso, ben al di là dei pochi ritocchi e delle poche aggiunte che a Soffici parve di poter rilevare. Il fortunato caso è questo. Nel riordinare la casa di Poggio a Caiano e in particolare la grande quantità di carte, manoscritti opuscoli, corrispondenza lasciati dal marito (materiale di notevole interesse, è da supporre, per le fitte relazioni che intrattenne con artisti e scrittori di mezza Europa), il famoso quaderno è venuto alle mani della signora Maria Soffici. Molto emozionata, la figlia Valeria mi comunicò la notizie ma alla mia impazienza di vedere il reperto oppose la necessità del consenso materno. In realtà madre e figlia erano molto comprese della responsabilità del ritrovamento, ma infine maturò in loro la convinzione che il primo dovere fosse di rendere pubblica la cosa, ed è proprio ciò che vado facendo. Intanto si sono l’una e l’altra, d’accordo con gli altri due figli, orientale e confermate nel proponimento di donare il quaderno a una importante biblioteca e sperano che non sorgano ostacoli a questo loro disegno.

Qualunque debba essere la destinazione del prezioso incunabolo della nostra poesia moderna – ed è augurabile che sia quella desiderata dagli eredi di Soffici – è da prevedere che sarà minuziosamente studiato e messo a confronto con il testo dei Canti Orfici. È sicuro che offrirà parecchi argomenti a chi voglia esaminare criticamente l’ultima fase di assestamento del linguaggio di Campana. Intanto quello che io posso fare dopo la sommaria ricognizione permessami dal poco tempo è descrivere materialmente il bouquin. Sono sessantanove pagine di scrittura accurata, evidentemente una bella copia, salvo posteriori pentimenti, correzioni, cancellature anche ampie, soppressione di parti indicate da freghi.

Nella prima il titolo: Il più lungo giorno (una locuzione, suppongo di natura esoterica, che prelude bene a Canti Orfici). Sotto il titolo il nome dell’autore. Nella seconda il nome dell’autore è ripetuto in un angolo, mentre il resto è occupato da epigrafi (primeggia Nietzsche) in parte cancellate da un frego. Segue il poema che nei Canti Orfici sarà intitolato La notte e qui è invece La notte mistica dell’amore e del dolore, Scorci bizantini morti cinematografiche dopo essere stato Cinematografia sentimentale, come si legge sotto la cancellatura. Poi in ordine La chimera, Giardino autunnale, La petite promenade du poète, Il canto della tenebra, Scirocco serale (Piazza San Petronio). Testo escluso, questo, dell’edizione Ravagli e ricomparso poi, notevolmente scorciato, nell’edizione Vallecchi a cura di Bino Binazzi con il titolo di Vecchi versi. E ancora L’invetriata, Sul torrente notturno, La speranza, La notte di fiera (che nel volume a stampa diventerà La sera di fiera), Firenze (il breve componimento in versi, non l’altro in prosa), La Verna note di viaggio, Alba (che in Canti Orfici diventerà Immagini del viaggio e della montagna. Giro d’Italia in bicicletta (1° arrivato al traguardo di Marradi) è un testo omesso dall’edizione Ravagli così come quello che segue e comincia “Ma un giorno salirono sopra le navi”. Gli ultimi tre componimenti del quaderno sono Passeggiata in tram fino in America e ritorno, Pampa, Il canto di Genova, Preludi mediterranei, prima organizzazione di quello che sarà poi il poema Genova.

Alcuni di questi testi (a parte i due poi abbandonati) si trovano qui in una lezione notevolmente diversa da quella nota. Definire il criterio secondo il quale sono avvenuti elisioni, spostamenti, sostituzioni di frasi e parole, tagli e rare aggiunte oltrepassa il mio compito momentaneo e forse anche la mia acribìa. Ma si può affermare con qualche certezza che il ripensamento dei suoi poemi – chi sa, favorito anche della tremenda operazione mnemonica – orienta Campana nel senso di una maggiore condensazione, di una più decisa fusione, di una più forte intensità ritmica. È un po’ come se la ricca materia avesse subito un processo di decurtazione a cui non è estranea la sua propria forza di memorabilità.

Lettera di Mario Luzi a Elisa Campana

Firenze, 25 giugno ’71

Gentile Signora,

ho ricevuto la sua lettera e comprendo la sua emozione che è comune a tutto l’ambiente letterario, ma la considerazione dell’opera di Campana va continuamente crescendo. Quando Valeria Soffici Gattai (sic!), figlia dell’artista scomparso, mi dette la notizia ci preoccupammo di sapere qualcosa di preciso circa gli eredi di Dino Campana. Le notizie erano piuttosto vaghe e contraddittorie. Perciò pensammo che un modo di conoscere la situazione reale fosse quello di rendere pubblico il ritrovamento, data l’importanza ai fini degli studi che esso riveste.

La signora Maria, vedova, Valeria e i suoi fratelli non accampano certo nessun diritto di proprietà sul manoscritto. Hanno tenuto anzi a che, del manoscritto, fosse chiaro che essi si ritengono semplicemente i depositari momentanei e che sono pronti a restituirlo a chi dimostrerà di averne diritto certo. Questo è anche il contegno avallato dal loro avvocato che ha in consegna il reperto. Solo si sono limitati a esprimere un desiderio o meglio un augurio, che il manoscritto cioè sia destinato a un centro di studio come potrebbe essere una biblioteca. Essi credo pensassero alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, la più importante d’Italia oltre che situata nell’epicentro della memoria e degli studi campaniani. Ma era un semplice desiderio o, come le ripeto, un augurio che io naturalmente come ammiratore e studioso di Campana caldeggio di pieno animo. Comunque starà a Lei e alla sua figliola decidere: io mi permetto solo di sottolineare l’importanza culturale dell’oggetto ritrovato che, a mio avviso, dovrebbe far passare in seconda linea la pur legittima questione della proprietà materiale e morale.

Queste parole sono del resto le parole di un semplice testimone del ‘caso’, interessato solo in quanto studioso. Per cui il meglio da farsi è proprio quello che Lei suggerisce: mettere cioè Lei e le sue figliole direttamente in corrispondenza con la famiglia Soffici. Le trascrivo dunque l’indirizzo:

Maria Soffici – Poggio a Caiano –

(Firenze)

Mentre la saluto distintamente e mi congratulo perché mi rendo conto con quanto amore i ricordi di Campana sono ancora custoditi nella sua famiglia, mi metto, cara signora, a Sua disposizione per qualunque informazione o consiglio le fosse utile chiedermi.

Suo

Mario Luzi

via Iacopo Nardi, 20, 50132 Firenze