Sono sicuro, solo la poesia ci salverà

intervista di Renzo Cassigoli su L’Unità

“Magari un po’ di progresso c’è stato nella Storia, anche recente, ma il cammino è molto incerto per cui, alla fine, si fa un passo avanti e uno e mezzo indietro”. Sono di nuovo qui, con Mario Luzi, nel piccolo studio affacciato sulla grande terrazza che circonda l’attico dove il poeta abita a Bellariva sulle sponde dell’Arno. Com’è suo solito parla a bassa voce, lentamente, quasi a soppesare ogni parola: “Se si guarda alle trasformazioni della società nei suoi comportamenti reali, dobbiamo constatare che, dalla metà del secolo scorso, di mutamenti se ne contano molti e anche sconvolgenti, nel bene e nel male. Ma rispetto ai valori intrinseci, morali, etici non c’è una progressione parallela con quello che definiamo “sviluppo”. E così ci troviamo in questo sbilanciamento…”

Continuiamo a ragionare per vecchie categorie.

Sì. E tra queste, le categorie della guerra è la più vecchia. Magari ci pensa possa essere superata ( e io ci avevo pensato) poi, invece, ripiombiamo nel passato: la guerra del Golfo, l’ex Jugoslavia, il Kossovo, l’Afghanistan, il riaccendersi della guerra infinita, israelo-palestinese, e poi le stragi, i genocidi in Africa. Credo che, come in altri momenti della Storia, sia in corso un sommovimento planetario dell’umano. L’umanità non vuole più stare nella vecchia “geometria” creata nei secoli trascorsi.

Ernesto Balducci vent’anni fa sosteneva che “gli aiuti al Terzo Mondo sono solo una scelta moralistica se non si capisce che la soluzione sta in una scelta politica, che ne implica un’altra culturale capace di mettere in discussione il modello occidentale per costruire un nuovo ordine economico internazionale”. Ma nulla sembra cambiare.

Ci sono fasi della Storia nelle quali lo scontro è più duro e feroce. Oggi lo scontro è tra il Nord ricco e potente (sostanzialmente l’America, ormai unica grande potenza) e il Sud del mondo, a cui sono rimaste solo le briciole. Miliardi di esseri umani sacrificati al nostro benessere. E’ questa la ragione del sommovimento della parte più sofferente, sfruttata, umiliata dall’umanità. Ci indigniamo per lo scempio delle due torri che, lo ripeto, colpisce per la sua ferocia ma non abbiamo alzato la voce contro le grandi ingiustizie che traboccano da ogni parte, travalicano tutti i limiti, infrangono qualsiasi regola. Non ci indigniamo o addoloriamo per i milioni di morti innocenti. Eppure sono la cosa più visibile, solo che non vogliamo vederla.

Quel che stigmatizza si ripete ogni giorno, oggi nel Medio Oriente.

Quello è un “buco nero” nel quale si è infilato il male del mondo, ma è qualcosa che accade ovunque: nelle Filippine, in America del Sud, in Africa. E’ una crisi profonda dell’umanità che, risvegliata dalla miseria e dalla disperazione, prende coscienza della condizione nella quale è costretta da una politica di potenza, e di prepotenza, che provoca immensi squilibri nella distribuzione delle risorse e della ricchezza. La vicenda del Medio Oriente, con i luoghi sacri: Gerusalemme, Betlemme, la Palestina e poi la Shoah; ci sono tutto gli elementi per drammatizzare un conflitto, esploso in quest’area ma che avvelena il pianeta. C’è da chiedersi che ne sarà della terra fra qualche decennio. Nulla sembra più reggere alla tempesta che abbiamo scatenata. Siamo in un momento di trapasso della storia umana che coinvolge la nostra coscienza individuale e collettiva.

Il fossato si è approfondito ma la divisione fra i popoli ricchi e i dannati della Terra c’è sempre stata. Cos’è cambiato nella sostanza?

E’ successo che sta crescendo la coscienza di questa intollerabile divisione, e sta entrando nel tormento della mente degli occidentali, anche se cerchiamo di rimuoverla, di non pensare che stiamo su un vulcano in eruzione. Conosciamo le inique condizioni cui sono condannati miliardi di esseri umani, ma cerchiamo di non pensarci, e di ignorare che, in fondo, ognuno di noi è responsabile, qui e ora, di quella condizione disumana, oltretutto aggravata dall’offesa, dall’umiliazione e da una violenza che pesa sul destino di intere generazioni, che nascono senza speranza. Me è ancora lontana la presa di coscienza che la nostra ricchezza è resa possibile dalla loro povertà. Il gesto di chi muore per uccidere è mostruoso, al limite della sopportazione anche mentale. Ma per chi lo compie è un atto sacrificale. E’ difficile capire. Quel che accade comincia a incidere sulla comune mentalità, immette il dubbio su certi valori.

Tutto ciò ci rende moralmente e anche culturalmente più vulnerabili?

Incide sulla struttura mentale, che dagli antichi greci ci regge per cultura, tradizione, razionalità. La nostra cultura diventa quasi un’ipotesi contro un’altra ipotesi.

Cos’è che colpisce di più il poeta? Cosa addolora di più Mario Luzi?

Questo crescere dell’assuefazione agli scempi ovunque commessi e a chiunque tocchino! Lo scempio dell’umano! Ciò che pesa è la perdita di valore della stessa vita umana. A un certo punto pensi che anche il tuo linguaggio si riferisca a una umanità che quasi non c’è più. Hai l’impressione che non ci sia più il rapporto fra le cose oggettive, la realtà spirituale e la parola. Mi sembra ci sia una separazione insopportabile fra la “cosa” e la “parola”, fra il linguaggio che abbiamo ricevuto, e cerchiamo di salvaguardare, e ciò che avviene. Si inaridiscono i sentimenti, si perde la capacità di sognare.

Una volta lei disse che solo la poesia ci potrà salvare. Lo ripeterebbe oggi?

Sì. Non solo per la poesia in sé, ma come concezione fondante del parlare e dell’ascoltare. La poesia non solo come atto creativo, ma anche come dimensione dell’umano che si esprime per qualcuno che ascolta. Questa dimensione è in pericolo, ma se la poesia resiste, e se resiste l’umano, allora ci potrà essere salvezza. Almeno lo spero.