Il Sole 24 Ore: Tutto l’amore di Mario Luzi

di Gianfranco Ravasi

Nel centenario della nascita del poeta fiorentino, un inedito che vedrà la luce come plaquette e il ricordo del Cardinale Gianfranco Ravasi, che gli fu amico

Download PDFPasseggiavamo sul Lungarno, mentre scendeva il crepuscolo su Firenze. Mario Luzi, che lentamente avanzava con me e un altro amico, ci fece notare che nella maggior parte delle finestre si intuiva il riquadro azzurrognolo del televisore acceso: «Ecco, sono lì davanti a quello schermo con le mani alzate in segno di resa o di adorazione». È quello che avrebbe spesso ripetuto: «C’è oggi un difetto di parola e un eccesso di parole». E continuava: «La poesia agisce secondo la sua necessaria dinamica, che è quella di distruggere la lettera per ripristinare ed espandere lo spirito». La sua poesia aveva puntato dritto a questo nucleo essenziale, sacrale, trascendente perché – come diceva Charlotte nel dramma Cenere e ardori (1997) – «la tragedia è l’uomo, la sua storia, / il suo disaccordo col divino».

Nel centenario della sua nascita, avvenuta il 20 ottobre 1914 a Firenze, vorrei proporre anch’io, come uno dei suoi tanti amici, una libera testimonianza, spoglia dall’apparato critico che sarà indossato da molti altri più competenti e capaci di perlustrare un orizzonte testuale tutt’altro che agevole. In lui s’incarnava l’immagine di un altro grande “collega”, Clemente Rebora, per il quale la vera poesia dev’essere distillata come miele «in casta cera». In entrambi, poi, non di rado il cantare poetico si trasfigurava in un invocare orante. In una delle sue «conversazioni sul cristianesimo» con Stefano Verdino raccolte nella Porta del cielo (1997) Luzi confessava che «la preghiera comincia dove finisce la poesia, quando la parola non serve più e occorre un linguaggio altro».

Emblematico è quel gioiello che è la Via Crucis al Colosseo, un testo preparato per il papa Giovanni Paolo II in occasione del Venerdì Santo 1999. In esso si raggrumava il mistero doloroso della vita di Cristo e della nostra storia in versi di straordinario pathos e di intensa adorazione, come quando sulla croce egli resta solo col Padre celeste muto e assente: «Com’è solo l’uomo, come può esserlo! / Tu sei dovunque, / ma dovunque non ti trova. Ci sono luoghi / dove tu sembri assente / e allora geme perché si sente deserto / e abbandonato. Così sono io, comprendimi». Ma alla fine c’è un approdo dove la distanza è varcata tra l’umanità col suo male e con la sua colpa e il Dio giusto giudice: «L’offesa del mondo è stata immane. / Infinitamente più grande è stato il tuo amore. / Noi con amore ti chiediamo amore. / Amen».

La preghiera per Luzi era «un atto d’amore, nel suo fondamento. Io penso che ci sia non solo negli uomini, ma in tutto ciò che è presente nel mondo, un respiro e un’aspirazione orante» (così ancora nella Porta del cielo). A questo anelito umano Dio deve rispondere, e lo fa attraverso l’incarnazione del Figlio: «Non startene nascosto nella tua onnipresenza. Mostrati! / Il roveto in fiamme lo rivela, / però è anche il suo impenetrabile nascondimento. / E poi l’incarnazione – si ripara dalla sua eternità / sotto una gronda umana, scende nel più tenero grembo, / verso l’uomo, nell’uomo… sì, / ma il figlio dell’uomo in cui deflagra / lo manifesta e lo cela» (Via Crucis). Un ossimoro, dunque, di presenza-assenza, di rivelazione e di mistero, di parola e di ineffabilità, di splendore e di oscurità, di trascendenza e di immanenza.

Certo, noi creature mortali rimaniamo immersi nel tempo: «Tempo, l’uomo che s’allarma / dentro il tempo fermo / insediato nella sua durata, / immobile nel suo trascorrimento. / Tempo dell’uomo… / che leva il suo pugno d’istanti d’illusione / perennità…». Così il poeta cantava nell’arduo ed esaltante Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini (1994) intrecciando la finitudine della temporalità con l’illusorietà dell’eternità: quest’ultima, infatti, non ci appartiene e non può che esserci donata dall’unico Eterno.

Ciò avviene appunto nell’incarnazione in cui il Verbo divino diventa carne, ossia tempo successivo e fine, deponendo però in essa il germe della sua eternità. La nostra esistenza, allora, oscilla tra la finitudine presente e l’infinito che ci attende: «Noi siamo in terra / ma ci potremo un giorno librare / esilmente sul seno divino / come rose dai muri nelle strade odorose / sul bimbo che le chiede senza voce» (nella raccolta garzantiana di Tutte le poesie). Intanto noi camminiamo nella storia e nello spazio terreno e spesso seminiamo odio e male che ci allontanano da quel “seno divino”. Eppure è possibile trasformare questo mistero doloroso in gaudioso. È ciò che canta la giovane ebrea al suo amato musulmano nella raccolta poetica Parlate (2003): «C’è una pozza di sangue tra te e me. / Mio Dio, chi l’ha versato? / Chiunque sia stato, / caro, è sangue sprecato. / Ma io so che l’amore mio, se mi aprirai le braccia, / potrà vederlo asciugato. / Vieni, non tardare». È, dunque, ancora una volta l’amore la scintilla divina deposta nel terreno opaco del tempo, è il seme della speranza che attende di attecchire: «Il bulbo della speranza, / occultato sotto il suolo ingombro di macerie, / non muoia, / in attesa di fiorire alla prima primavera».

Tempo ed eternità, terra e cielo, persona e società, amore e solitudine, luce e tenebra sono, dunque, alcuni binomi struttura li della religiosità e della poesia di Luzi. Talora la sua ricerca teologica ha una stella polare esplicita, come accade nel caso di san Paolo. L’Apostolo domina con la sua Prima Lettera ai Corinzi nel saggio Glossolalia e profezia (1973) ove si celebra il contrappunto tra lingua statica e canto illuminato e mobile, la prima appannaggio della quotidianità, il secondo epifania della fede e della poesia. E nonostante il brusio incessante delle voci che chiacchierano e che stendono un sudario sonoro sul mondo, il cantico spirituale squarcia questo velo e risuona come uno squillo di tromba che risveglia le coscienze e trasforma le opere umane.

Concludiamo questo bozzetto molto essenziale del poeta dei Fondamenti invisibili con una sorta di testamento, un testo da lui scritto occasionalmente: «Vorrei arrivare al varco con pochi, essenziali bagagli, / liberato dai molti inutili, / di cui l’epoca tragica e fatua / ci ha sovraccaricato… / E vorrei passare questa soglia / sostenuto da poche, / sostanziali acquisizioni / e dalle immagini irrevocabili per intensità e bellezza / che sono rimaste / come retaggio. / Occorre una specie di rogo purificatorio / del vaniloquio / cui ci siamo abbandonati / e del quale ci siamo compiaciuti».

Sulla dimensione religiosa della poesia di Mario Luzi si veda: Alessandra Giappi, Mario Luzi o la poesia come preghiera, in Pietro Gibellini (ed.), La Bibbia nella letteratura italiana, vol. II, L’età contemporanea, Morcelliana, Brescia 2009, pagg. 287-315.

«L’amore»:
primavera in versi

Tutte le sofferenze traspaiono/
da un volto
solo e in quello è dolce/
la forza che ci spenge
e pur nell’aria educa il fiore/
della luna,
il vento profondo dove/
avviene la primavera.
Cade la giovinezza, la vita intera
s’aduna e giace sul cuore
come il mare sull’ultimo dolore
del navigante che l’ha amato.
Le fanciulle dal dolce nome invocato
ripercorron le strade/
e i verdi torrenti, bianche
nella prima stanza/
d’amore con le voci
calme placano i volti morenti.
Ne’ giardini con gli occhi dolenti
invano attendono i bimbi
già vivi in cuore con aerei nimbi
sulle guancie rosa
come un’aurora sugli alberi ondosa
a chi muor di fatica nei campi.

Le celebrazioni

La poesia che pubblichiamo in questa pagina ha per titolo «L’amore» e sarà pubblicato in una plaquette dell’editore Metteliana, di Paolo Andrea Mettel che ringraziamo per la cortesia. Si tratta di un foglio dattiloscritto e autografo giovanile del poeta, conservato ora presso il Centro Studi La Barca di Pienza ed è l’unica poesia di Luzi non ripresa dal poeta nell’edizione delle Poesie ritrovate (Garzanti, 2003). La plaquette è in tiratura di 200 esemplari su carta Amatruda, 100 su carta vergata Magnani e 50 su carta a mano Alcantara ed è stata patrocinata dall’Associazione Mendrisio Mario Luzi Poesia del Mondo. La stessa Associazione celebra Mario Luzi mercoledì 12 nel Duomo di Milano (ore 20,30, ingresso libero) con «La passione di Cristo», testo poetico di Mario Luzi, voce recitante di Roberto Mussapi, musiche di Ermanno Codegoni, installazione luminosa di Marco Nereo Rotelli. Interventi di Gianantonio Borgonovo (arciprete del Duomo), Armando Torno e Paolo Andrea Mettel. Il 19 e 20 marzo il convegno di studi «Viaggio terrestre e celeste di Mario Luzi» si terrà all’Università Cattolica del S. Cuore promosso dal Centro culturale «Alle Grazie» dei Padri Domenicani di Milano. Previsti gli interventi, tra gli altri, di Claudio Giuliodori, Paolo Andrea Mettel, Armando Torno, Stefano Verdino, Anna Dolfi. In serata Recital di Roberto Mussapi che legge testi di Luzi. Il giorno dopo nella Basilica di Santa Maria delle Grazie interventi, tra gli altri, di Antonio Prete, Francesca D’Alessandro, Daniele Piccini. Alle 15, presentazione e proiezione del documentario «In Toscana. Un viaggio in versi con Mario Luzi» di Marco Marchi, regia di Antonio Bartoli e Silvia Folchi. A seguire Tavola rotonda con i poeti Milo De Angelis, Eugenio De Signoribus, Franco Loi, Guido Oldani, Silvio Ramat, Davide Rondoni, Cesare Viviani. Modera Armando Torno.

Segreteria organizzativa: paola.baioni@unicatt.it