Avvenire: LUZI e il dubbio di Cristo sulla Croce
Anniversari. A cent’anni dalla nascita molte le iniziative sul poeta La sua «Via Crucis», voluta da papa Wojtyla, un esempio di poesia religiosa
LUZI e il dubbio di Cristo sulla Croce
ROBERTO MUSSAPI
Ho una piccola foto, tra le pochissime che conservo, ritrae Papa Wojtyla e Mario Luzi che si stringono la mano. Non un abbraccio, l’abbraccio come usa da troppo tempo anche tra semplici conoscenti, ma la loro stretta di mano è un vero, autentico abbracciarsi. Risale alla per me leggendaria, e per tanti altri storica, esecuzione della
Passione scritta dal poeta su invito, o con la piena adesione, del Pontefice. Quella fotografia è per me esemplare, perché in essa religione e poesia si stringono la mano, due mani ugualmente forti, pur se molto dissimili: lunga, sottile, da pianista o scrittore di versi, energica ma esile l’una; muscolosa, da operaio, da partigiano, da sciatore e nuotatore l’altra. E così i corpi: asciutto, longilineo, aereo l’uno, aitante spalluto, muscoloso, tornito, l’altro. Poi un elemento in cui i due uomini sono identici: il sorriso. La poesia e la religione si incontrano, e l’evento è naturale e ab origine, ma qui accade attraverso due esseri in carne e ossa, ognuno dei quali comprende una parte dell’altro. Poeta e drammaturgo di razza, da giovane, il Papa, uomo religioso da sempre e in toto il poeta. Uomo religioso in toto significa che la cultura cattolica a cui Luzi appartiene, pur inscindibile dalla sua anima e opera, non è l’elemento primo e discriminante: Luzi è religioso a priori, legato come è da un rapporto viscerale e luminoso alla vita, il cosmo, la terra, l’uomo.
L’uomo che accetta dopo «la sorpresa, un contraccolpo di vero e proprio sgomento» l’invito a scrivere una Via Crucis (che avrà luogo nella Pasqua del 1999 al Colosseo, presieduta da Giovanni Paolo II), che prova un «dubbio di insufficienza o inadeguatezza », e il timore che la sua «disposizione interiore non fosse così limpida e sincera quanto il soggetto richiedeva » non è un poeta confessionale, ma il maggiore interprete italiano vivente della grande poesia che nel Novecento rimette in scena il dilemma di Shakesperae, to be or not to be , «essere o non essere», vale a dire: il mondo e la realtà esistono o sono illusioni?
Questa domanda sin dall’origine drammatica diviene nel Novecento tragica: poeti come Eliot, Pound, Yeats, Ungaretti, Bonnefoy, Luzi, sostengono comunque la realtà del mondo, mentre altri grandi, come Montale, ne dubitano, seppur stoicamente. Sin dall’inizio, dal libro d’esordio La barca, la poesia di Luzi manifesta questa immersione nell’avventura fluttuante e perigliosa dell’esistenza, sin dall’inizio «dalla barca si vede il mondo», a cui seguirà, negli anni di piena maturità «felici voi nel movimento» (guardando dal ponte i vogatori sull’Arno), immagini di incessante vitalità entro il paesaggio del mondo, che nella Passione diviene oggetto di meravigliosa nostalgia da parte di Cristo. Il quale diviene, nell’invenzione del poeta, diviene unico protagonista: La Passione è quindi un monologo, Luzi dà voce solo a Gesù, nel terribile momento in cui la sua vita di uomo si inoltra nel martirio e la sua natura di figlio si approssima al ritorno alla luce del Padre.
Drammaturgicamente Luzi crea una lingua metricamente libera e insieme guidante, che costringe l’attore a seguire il sottotesto musicale e ritmico. Esclude figure fondamentali, Maria, Giuda, Pilato, non insuffla le voci degli angeli: tutto è incorporato in quella di Cristo che ci travolge nella sua sofferenza, nel suo dubbio di non avere fatto abbastanza nel mondo, nel suo amore per l’uomo, il fratello che lo sta massacrando e umiliando, nell’ improvvisa, attimica angosciosa paura che non tutto sia stato previsto dal Padre, che qualcosa possa sfuggire al disegno divino, e contemporaneamente, simultaneamente, nella sua continua preghiera a Lui, a cui senza sosta chiede perdono per la propria debolezza di umano a tratti dubitante. Terrificante la potenza d’amore emanante da questo monologo: Cristo ha paura di avere sbagliato, di non avere saputo abbastanza amare i fratelli che lo stanno uccidendo, ma nello stesso tempo si scusa col Padre per questo suo, ‘delirio’: delirio di un uomo debole che sta subendo la croce e le percosse. Il verso luziano trionfa, fino al culminante Coro che sostituisce la voce di Gesù ormai morto e prossimo a risorgere: «Noi con amore ti chiediamo amore».
L’inedito
Se l’ispirazione viene da Levante
Luzi abitava da sempre in un piccolo appartamento di Via Bellariva 20, a Firenze. Piccolo e stipato di libri, il poeta lo viveva in modo molto sobrio. Grande, molto grande il terrazzo con una vista panoramica straordinaria. Il luogo dove il poeta passeggiava mentre scriveva e meditava.
MARIO LUZI
Dalla mia terrazza che ha una veduta periscopica quasi completa sui tetti di Firenze e sui dintorni orientali lo sguardo corre ogni mattina verso il monte dell’Incontro. È in lontananza una massa compatta eppure trascolorante e lieve. Da quella parte viene il giorno e discende l’Arno. Ma dietro si estende una regione fervida e invitante. Quello che i miei amici georgofili o chi per loro chiamano «il levante fiorentino», è là. Si tratta di un paese sobrio e domestico. Essi regalano quel nome splendido e immaginoso a una terra a cui il lavoro oculato, la sapienza agricola e la saggezza amministrativa dei proprietari e dei contadini ha conferito un aspetto di fondamentale equilibrio e di parsimoniosa bellezza rustica.
Conoscevo più che altro di passaggio questo territorio, lo attraversavo o lo rasentavo andando verso Ronta, Dicomano, la parte orientale del Mugello oppure verso Poppi e il Casentino o anche entrando nel Valdarno per la vecchia via aretina… Solo in anni recenti l’ospitalità che trovo in una bella casa sulle alture di Rosano mi ha aperto una conoscenza più vasta di quella parte. La veduta che si stringe sul poggio dov’è edificata si apre azzurra e solare oppure celeste e innevata in lontananza sul Pratomagno o segue la linea di fuga risalendo la valle superiore dell’Arno. Beh, non mi ero mai fermato a lungo in quei borghi e in quelle campagne per cui ero passato tante volte e che ora vedevo dall’alto coordinati gli uni con gli altri, ben situati nella armonia di poggiate e di fondovalli. Li avevo poco frequentati Rignano, Reggello, la Rufina. Ma ero vissuto ugualmente nella rassicurante certezza che essi ci fossero e che fossero parte della terra fiorentina.
Del resto mi accadeva talvolta di fermarmi a goderne la vista dalla curva elevata di qualche strada o dal treno che l’attraversava sul vecchio e sul nuovo tracciato della linea. Variava secondo l’occasione ma era sempre un’immagine luminosa che riassumeva tanta realtà viva, fattiva.
A Pontassieve, per esempio, ero stato la prima volta con Leone Traverso, accompagnavamo in macchina – era, mi sembra, il 1936 – un nostro amico avvocato di quelli che secondo la giuliva ironia di Traverso staccava i pendagli dalla forca, a perorare in pretura. Ma ci sono tornato in circostanze più goderecce con Enrico Vallecchi e la sua brigata a qualcuna delle rinomate trattorie; ci sono passato per la Consuma, per Vallombrosa: e poi per visitare in ospedale mia moglie, vittima di un leggero incidente. Tante sono state le occasioni di costeggiare l’Arno e la Sieve specialmente dove confluiscono. È davvero un ganglio del corpo fiorentino dove pare metta le ali.
Il «levante fiorentino» è davvero un’espressione felice e che si presta a coprire i principali significati della vitalità: l’economia del Valdarno, la viticoltura di Pomino, le fornaci, le carpenterie, l’artigianato vario, le industrie leggere, ma anche le origini di Masaccio, di Piero e, perché no, del Sor Ardengo (Soffici), di Venturino Venturi: e i monasteri famosi o oscuri, le dispute umanistiche, le assemblee di categorie, le assise e le cerimonie musicali di oggi. Di là dall’Incontro. Dentro o vicino il «levante fiorentino».
MILANO
UN CENTENARIO RICCO DI OMAGGI
Numerose le iniziative che si tengono prossimamente per celebrare la figura di Mario Luzi, del quale cade quest’anno il centenario della nascita. Da lunedì si tengono, fino a giovedì 13, una serie di incontri presso la facoltà di Studi umanistici dell’università di Milano, organizzati dall’associazione Luzi di Mendrisio, di cui è presidente Paolo A. Mettel, cui partecipano, tra gli altri, Daniele Piccini, Silvio Ramat, Milo De Angelis (info:334.9726193). Sempre a Milano, il 19 e 20 marzo, all’Università Cattolica e presso Santa Maria delle Grazie, di terrà il convegno «Viaggio terrestre e celeste di Mario Luzi» con, tra gli altri, Guido Oldani, Franco Loi, Giancarlo Quiriconi, Stefano Verdino, Giuseppe Langella, Massimo Cacciari. Nel mezzo, ovvero mercoledì 12 marzo, nel Duomo di Milano alle ore 20,30, si svolgerà un incontro sul poema di Luzi, «La passione di Cristo», cui partecipano Gianantonio Borgonovo, Armando Torno, Paolo A. Mettel, con una lettura del poeta Roberto Mussapi (che in questa pagina ricorda la figura di Luzi), il quale reciterà il testo non come un attore, ma come «poeta leggente».