Avvenire: LUZI e il dubbio di Cristo sulla Croce

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Giovanni Paolo II con Mario Luzi e il cardinale Silvano Piovanelli durante l’udienza privata concessa al poeta il 20 maggio 1999 Anniversari. A cent’anni dalla nascita molte le iniziative sul poeta La sua «Via Crucis», voluta da papa Wojtyla, un esempio di poesia religiosa

LUZI e il dubbio di Cristo sulla Croce

ROBERTO MUSSAPI
Ho una piccola foto, tra le pochissime che con­servo, ritrae Papa Wojtyla e Mario Luzi che si stringono la ma­no. Non un abbraccio, l’abbraccio come usa da troppo tempo anche tra semplici conoscenti, ma la loro stretta di ma­no è un vero, autentico abbracciarsi. Risale alla per me leggendaria, e per tanti altri storica, esecuzione della

Passione scritta dal poeta su invito, o con la piena adesione, del Pontefice. Quella fotografia è per me esempla­re, perché in essa religione e poesia si stringono la mano, due mani ugual­mente forti, pur se molto dissimili: lunga, sottile, da pianista o scrittore di versi, energica ma esile l’una; mu­scolosa, da operaio, da partigiano, da sciatore e nuotatore l’altra. E così i corpi: asciutto, longilineo, aereo l’u­no, aitante spalluto, muscoloso, tornito, l’altro. Poi un elemento in cui i due uomini sono identici: il sorriso. La poesia e la religione si incontrano, e l’evento è natura­le e ab origine, ma qui accade at­traverso due esseri in carne e os­sa, ognuno dei quali comprende una parte dell’altro. Poeta e dram­maturgo di razza, da giovane, il Pa­pa, uomo religioso da sempre e in toto il poeta. Uomo religioso in toto significa che la cultura cattolica a cui Luzi appartiene, pur inscindibile dal­la sua anima e opera, non è l’ele­mento primo e discriminante: Luzi è religioso a priori, legato come è da un rapporto viscerale e luminoso alla vi­ta, il cosmo, la terra, l’uomo.

L’uomo che accetta dopo «la sorpre­sa, un contraccolpo di vero e proprio sgomento» l’invito a scrivere una Via Crucis (che avrà luogo nella Pasqua del 1999 al Colosseo, presieduta da Giovanni Paolo II), che prova un «dubbio di insufficienza o inadegua­tezza », e il timore che la sua «dispo­sizione interiore non fosse così lim­pida e sincera quanto il soggetto ri­chiedeva » non è un poeta confessio­nale, ma il maggiore interprete ita­liano vivente della grande poesia che nel Novecento rimette in scena il di­lemma di Shakesperae, to be or not to be , «essere o non essere», vale a dire: il mondo e la realtà esistono o sono illusioni?

Questa domanda sin dal­l’origine drammatica diviene nel Nove­cento tragica: poe­ti come Eliot, Pound, Yeats, Ungaretti, Bon­nefoy, Luzi, so­stengono co­munque la realtà del mondo, mentre altri grandi, come Montale, ne dubitano, seppur stoicamente. Sin dal­l’inizio, dal libro d’esordio La barca, la poesia di Luzi manifesta questa im­mersione nell’avventura fluttuante e perigliosa dell’esistenza, sin dall’ini­zio «dalla barca si vede il mondo», a cui seguirà, negli anni di piena ma­turità «felici voi nel movimento» (guardando dal ponte i vogatori sul­l’Arno), immagini di incessante vita­lità entro il paesaggio del mondo, che nella Passione diviene oggetto di me­ravigliosa nostalgia da parte di Cri­sto. Il quale diviene, nell’invenzione del poeta, diviene unico protagoni­sta: La Passione è quindi un monolo­go, Luzi dà voce solo a Gesù, nel ter­ribile momento in cui la sua vita di uomo si inoltra nel martirio e la sua natura di figlio si approssima al ri­torno alla luce del Padre.

Drammaturgicamente Luzi crea una lingua metricamente libera e insie­me guidante, che costringe l’attore a seguire il sottotesto musicale e rit­mico. Esclude figure fondamentali, Maria, Giuda, Pilato, non insuffla le voci degli angeli: tutto è incorporato in quella di Cristo che ci travolge nel­la sua sofferenza, nel suo dubbio di non avere fatto abbastanza nel mon­do, nel suo amore per l’uomo, il fra­tello che lo sta massacrando e umi­liando, nell’ improvvisa, attimica an­gosciosa paura che non tutto sia sta­to previsto dal Padre, che qualcosa possa sfuggire al disegno divino, e contemporaneamente, simultanea­mente, nella sua continua preghiera a Lui, a cui senza sosta chiede per­dono per la propria debolezza di umano a tratti dubitante. Ter­rificante la potenza d’amore emanante da questo mono­logo: Cristo ha paura di a­vere sbagliato, di non ave­re saputo abbastanza a­mare i fratelli che lo stan­no uccidendo, ma nello stesso tempo si scusa col Padre per questo suo, ‘delirio’: delirio di un uomo debole che sta su­bendo la croce e le per­cosse. Il verso luziano trionfa, fino al culminante Coro che sostituisce la voce di Gesù ormai morto e pros­simo a risorgere: «Noi con a­more ti chiediamo amore».

L’inedito

Se l’ispirazione viene da Levante

Luzi abitava da sempre in un piccolo appartamento di Via Bellariva 20, a Fi­renze. Piccolo e stipato di libri, il poeta lo viveva in modo molto sobrio. Grande, molto grande il terrazzo con una vista panoramica straordinaria. Il luogo dove il poeta passeggiava mentre scriveva e meditava.

MARIO LUZI
Dalla mia terrazza che ha una ve­duta periscopica quasi comple­ta sui tetti di Firenze e sui din­torni orientali lo sguardo corre ogni mattina verso il monte dell’Incon­tro. È in lontananza una massa compat­ta eppure trascolorante e lieve. Da quel­la parte viene il giorno e discende l’Arno. Ma dietro si estende una regione fervida e invitante. Quello che i miei amici geor­gofili o chi per loro chiamano «il levante fiorentino», è là. Si tratta di un paese so­brio e domestico. Essi regalano quel nome splendido e immaginoso a una terra a cui il lavoro oculato, la sapienza agricola e la sag­gezza amministrativa dei pro­prietari e dei contadini ha conferito un aspetto di fon­damentale equilibrio e di par­simoniosa bellezza rustica.

Conoscevo più che altro di passaggio questo territorio, lo attraversavo o lo rasentavo an­dando verso Ronta, Dicomano, la parte orientale del Mugello oppure ver­so Poppi e il Casentino o anche entran­do nel Valdarno per la vecchia via areti­na… Solo in anni recenti l’ospitalità che trovo in una bella casa sulle alture di Ro­sano mi ha aperto una conoscenza più vasta di quella parte. La veduta che si stringe sul poggio dov’è edificata si apre azzurra e solare oppure celeste e inne­vata in lontananza sul Pratomagno o se­gue la linea di fuga risalendo la valle su­periore dell’Arno. Beh, non mi ero mai fermato a lungo in quei borghi e in quelle campagne per cui ero passato tante volte e che ora vedevo dall’alto coordinati gli uni con gli altri, ben situati nella armonia di poggiate e di fondovalli. Li avevo poco frequentati Ri­gnano, Reggello, la Rufina. Ma ero vissu­to ugualmente nella rassicurante certez­za che essi ci fossero e che fossero parte della terra fiorentina.

Del resto mi accadeva talvolta di fer­marmi a goderne la vista dalla curva e­levata di qualche strada o dal treno che l’attraversava sul vecchio e sul nuovo tracciato della linea. Variava secondo l’occasione ma era sempre un’immagi­ne luminosa che riassumeva tanta realtà viva, fattiva.

A Pontassieve, per esempio, ero stato la prima volta con Leone Traverso, accom­pagnavamo in macchina – era, mi sem­bra, il 1936 – un nostro amico avvocato di quelli che secondo la giuliva ironia di Traverso staccava i pendagli dalla forca, a perorare in pretura. Ma ci sono torna­to in circostanze più goderecce con En­rico Vallecchi e la sua brigata a qualcuna delle rinomate trattorie; ci sono passato per la Consuma, per Vallombrosa: e poi per visitare in ospedale mia moglie, vit­tima di un leggero incidente. Tante sono state le occasioni di costeggiare l’Arno e la Sieve specialmente dove confluisco­no. È davvero un ganglio del corpo fio­rentino dove pare metta le ali.

Il «levante fiorentino» è davvero un’e­spressione felice e che si presta a copri­re i principali significati della vitalità: l’e­conomia del Valdarno, la viticoltura di Pomino, le fornaci, le carpenterie, l’arti­gianato vario, le industrie leggere, ma an­che le origini di Masaccio, di Piero e, per­ché no, del Sor Ardengo (Soffici), di Ven­turino Venturi: e i monasteri famosi o o­scuri, le dispute umanistiche, le assem­blee di categorie, le assise e le cerimonie musicali di oggi. Di là dall’Incontro. Den­tro o vicino il «levante fiorentino».

MILANO

UN CENTENARIO RICCO DI OMAGGI

Numerose le iniziative che si tengono prossimamente per celebrare la figura di Mario Luzi, del quale cade quest’anno il centenario della nascita. Da lunedì si tengono, fino a giovedì 13, una serie di incontri presso la facoltà di Studi umanistici dell’università di Milano, organizzati dall’associazione Luzi di Mendrisio, di cui è presidente Paolo A. Mettel, cui partecipano, tra gli altri, Daniele Piccini, Silvio Ramat, Milo De Angelis (info:334.9726193). Sempre a Milano, il 19 e 20 marzo, all’Università Cattolica e presso Santa Maria delle Grazie, di terrà il convegno «Viaggio terrestre e celeste di Mario Luzi» con, tra gli altri, Guido Oldani, Franco Loi, Giancarlo Quiriconi, Stefano Verdino, Giuseppe Langella, Massimo Cacciari. Nel mezzo, ovvero mercoledì 12 marzo, nel Duomo di Milano alle ore 20,30, si svolgerà un incontro sul poema di Luzi, «La passione di Cristo», cui partecipano Gianantonio Borgonovo, Armando Torno, Paolo A. Mettel, con una lettura del poeta Roberto Mussapi (che in questa pagina ricorda la figura di Luzi), il quale reciterà il testo non come un attore, ma come «poeta leggente».