Prima pagina “Cultura” Corriere della Sera

Anteprima Giovanni Reale e «La condizione umana»: un confronto con Agostino e PascalPDF

Quando la tecnica vuole farsi Dio

La sfida blasfema tradisce l’uomo

Dare senso alla vita con la scienza, pericolosa illusione

di GIOVANNI REALE

Acquerello e gouache di Pietro Paolo Tarasco, «La condizione umana, il Bene e il Male» (Matera 2012)

Acquerello e gouache di Pietro Paolo Tarasco, «La condizione umana, il Bene e il Male» (Matera 2012)

Esce in questi giorni in edizione a tiratura limitata (sarà seguita tra poco da una in veste economica, con il medesimo contenuto) «La condizione umana», un volume che propone un confronto serrato fra testi di Agostino e di Pascal sull’uomo. Un dibattito che supera le differenze di tempo e di stile dei due sommi autori e si rivolge ai problemi d’oggi. Pagine tratte da «La città di Dio» o dai «Pensieri», dalle «Confessioni» o da «Le Provinciali». Le traduzioni e la scelta si devono a Carlo Carena. Il volume ha una premessa di Giovanni Reale: è un saggio che analizza e trae le conclusioni da quel confronto ideale e dalle prospettive che offre continuamente alla storia della filosofia (di tale scritto diamo in questa pagina uno stralcio in anteprima). L’opera, curata da Claudia Mettel, contiene un acquerello di Pietro Paolo Tarasco, incisore di Matera. È stata tirata su carta pregiata dal Centro Stampa Meucci di Città di Castello; è il 34˚volume della collezione «Metteliana». Il coordinamento editoriale dell’iniziativa si deve all’Associazione Mendrisio Mario Luzi Poesia del Mondo (presieduta da Paolo Andrea Mettel, bibliofilo e imprenditore). Le informazioni sul libro si possono trovare consultando il sito: www.marioluzimendrisio.com

Le forze centrifughe più deleterie si sprigionano dal paradigma scientistico-tecnicistico. Rischiano di rinchiudere gli uomini come in una gabbia (nella caverna platonica) e, di conseguenza, di far loro dimenticare che si può e si deve guardare ciò che sta oltre, ossia il trascendente, se si vuol capire l’immanente, ossia che cos’è la vera vita e che cos’è la vera morte. Ma quello che più stupisce è il fatto che alcuni degli stessi scienziati e alcuni pensatori si sono identificati in vario modo con l’Assoluto, come una sorta di sua incarnazione.

In effetti, la scienza e la tecnica, in molti casi, nella coscienza degli uomini hanno preso il posto della dimensione del religioso, nella convinzione che la scienza ci offrirà tutta la verità e che la tecnica ci risolverà tutti i problemi.

Robert Edward, padre della fecondazione in vitro, scienziato onorato del premio Nobel, sul quale la Chiesa ha sollevato (a giusta ragione) i suoi dubbi in quanto si sono ignorate le ragioni dell’etica, afferma senza mezzi termini rispetto ai risultati da lui raggiunti: «Fu un enorme successo che andò ben oltre il problema della fertilità. Riguardò anche l’etica del concepimento. Volevo scoprire chi fosse davvero al comando, se Dio stesso o gli scienziati. Ho dimostrato che noi eravamo al comando».

Aldo Schiavone, nel suo libro Storia e destino, interpreta la frase della Bibbia secondo la quale Dio ha fatto l’uomo «a sua immagine e somiglianza», nell’ottica del futuro della rivoluzione operata dalla tecnica, nel modo che segue: «… quando la Genesi stabilisce la rassomiglianza fra l’uomo e Dio, l’assimilazione non va attribuita a questa o a quella figura che l’uomo aveva o avrebbe assunto nel corso della sua storia evolutiva — non agli uomini che hanno scritto la Bibbia — ma all’umano come progettualità e come sviluppo. Somigliare a Dio non sarebbe insomma per l’uomo la condizione di partenza, ma la stazione d’arrivo, da un certo momento in poi da noi stessi voluta e guadagnata: ciò che potremmo chiamare — se ci muovessimo su questo piano — non più laicamente nostro destino, ma religiosamente la nostra prospettiva escatologica».

Queste parole suonano, a nostro avviso, come una impressionante eco delle parole dette dal demonio a Eva sul frutto proibito (che oggi sarebbe la scienza e la tecnica trasformate in idoli e divinizzate): «Dio sa che quando voi ne mangiaste vi si aprirebbero gli occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male».

Ma l’uomo nello stesso momento è grande e miserabile. Pascal dice: «La grandezza dell’uomo è grande in quanto si conosce miserabile». La più forte e bella definizione dell’uomo — che, di per sé, risulta essere ben altro che un Dio — e in particolare della sua grandezza e sua piccolezza, Pascal stesso l’ha data in uno dei pensieri, che a nostro avviso è uno dei più profondi. Edgar Morin nel suo libro L’identità umana (edizione italiana Cortina 2002), lo ha ripreso come trama della sua trattazione, che conferma, per altre vie della psicologia, della sociologia e del pensiero filosofico contemporaneo, la verità incontrovertibile in esso espressa. Pascal dice: «Quale chimera è dunque l’uomo? Quale stranezza, quale mostruosità, quale caos, quale soggetto di contraddizioni, quale prodigio, giudice di tutte le cose, debole verme di terra, depositario del vero, cloaca d’incertezza e di errore, gloria e rifiuto dell’universo. Cercate dunque di conoscere, o superbo, quale paradosso siete per voi stessi! Umiliatevi, ragione impotente! Tacete, debole natura! Imparate che l’uomo supera infinitamente l’uomo e ascoltate dal vostro Maestro la vostra vera condizione, che ignorate. Prestate ascolto a Dio».

Ma ascoltare Dio non basta. Occorre di più. Occorre ciò che Dio stesso ci ha dato, e che Agostino spiega in modo perfetto.

La salvezza dell’uomo è, per Agostino, Cristo stesso come «Mediatore». Il vero «Mediatore» non è un «démone» o un «intermedio» ontologico, a mezza strada fra l’umano e il divino, come pensavano i Greci, ma è Dio stesso, che mediante Cristo, il Figlio di Dio fattosi uomo, ha conciliato il mondo con sé medesimo. Il Logos o Verbo, che era presso Dio ed era Dio, facendosi carne, diventa quel nesso che lega il mondo con se stesso e a Dio, e garantisce una unità in senso globale. Il fulcro della salvezza, dunque, è Dio stesso e la sua incarnazione.

Scrive Paolo: «E tutto viene da Dio che ci ha riconciliati a sé mediante Cristo…, in quanto Dio ha riconciliato con sé il mondo in Cristo» (Seconda Lettera ai Corinzi, 5, 18-19). E ancora: «Uno solo è Dio e uno il Mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Gesù Cristo» (Prima Lettera a Timoteo, 2, 5-6). Agostino mette questo tema perfettamente a fuoco in varie sue opere, e in particolare nel finale del libro decimo delle Confessioni e nella Città di Dio, in cui si legge: «Se, secondo la tesi più attendibile e probabile, tutti gli uomini finché sono mortali sono anche inevitabilmente miserabili, bisogna ricercare un mediatore che non sia solo uomo ma anche Dio, capace con l’intervento della sua mortalità felice di condurre gli uomini dalla loro miseria mortale all’immortalità felice; e questo mediatore non doveva diventare né rimanere mortale».

Cristo come Dio beato e beatificante, facendosi uomo, ossia «condividendo la nostra natura, ci offrì la sintesi con cui partecipare alla sua divinità. Così, scelse di entrare, per essere Mediatore, nella forma di uno schiavo, al di sotto degli angeli, rimanendo però al di sopra degli angeli nella forma di Dio. Via della vita nel mondo inferiore come Vita in quello superiore». E in modo assai forte nel Commento al Vangelo di Giovanni, approfondisce tale concetto in questa frase icastica: «Dio si è fatto uomo; che cosa dovrà diventare l’uomo, se, per lui, Dio si è fatto uomo?». E ancora, in modo altrettanto forte: «Rallegriamoci, dunque, e ringraziamo, perché noi non siamo divenuti soltanto Cristiani, ma siamo diventati Cristo! Comprendete, fratelli, comprendete la grazia che Dio ci ha concesso? Ammirate e gioite: siamo diventati Cristo! Se, infatti, Egli è la Testa e noi siamo le membra, l’uomo nella sua interezza è Lui e noi».

Dunque, «nella sua interezza», l’uomo è «Cristo in noi», ossia è Dio che si unisce all’uomo mediante il Figlio incarnatosi, ossia mediante Cristo come «Mediatore».

E proprio in questo, e non nel potere che gli deriva dalla scienza e dalla tecnica, sta la vera grandezza dell’uomo.