Prefazione a "I bambini giaguaro/Os meninos jaguar"

di Mario Luzi

Márcia Theóphilo, brasiliana, di estro e d’arte poetici dirompenti, oltre che di appassionata cultura etnica ed endemica, ha levato un inno e un grido a questo mondo minacciato di estinzione, a questi meninos su cui si accanisce una bieca perversità che giunge fino a una tenebrosa persecuzione.
Il poema, in due parti, della Theóphilo non potrebbe essere presentato meglio di come provvede lei stessa a farlo nel corso dell’introduzione: “Questo libro – poema, che vuole ispirarsi ad un misticismo panteista, rappresenta un intero mondo. I suoi versi sono piccole orazioni sostenute da un ritmo incalzante. Attraverso la poesia si vuole far emergere la qualità sacra della vita e di quei valori straordinari che stiamo perdendo. Non è una poesia dedicata solo ai cuccioli dell’uomo, ma anche a tutto ciò che germoglia, a tutto ciò che nasce, come l’acqua che sgorga limpida da una sorgente, un fiore che sboccia. É una poesia dedicata alla parte più tenera e delicata dell’universo, a tutto ciò che è ancora ritenuto inutile allo sviluppo perché nulla ha a che fare con il consumo, e che per questo viene disprezzato, calpestato o semplicemente non considerato”.
Ecco, il lettore trova qui concentrate tutte le motivazioni che hanno promosso il disegno e la poesia dell’opera che si accinge a leggere. La passione antropologica, l’indignazione ambientalistica, la sofferenza per la terra violata, l’amore veemente e dolcissimo per le creature che la rappresentano nella sua innocenza primaria, i meninos appunto, concorrono e si fondono in questa invenzione poetica.
E subito alla prima pagina sarà sorpreso dal fatto di trovarsi non di fronte a un’opera celebrativa o commemorativa o polemica ma dentro un’opera in alto, vissuta e vivente, che è un rito di glorificazione animistica insieme tragico, festoso, orgiastico. È un modo di poetare dal vivo e dall’interno di una comunità condivisa. Esso elimina ogni distinzione tra oggetto e soggetto, si attua nel suo stesso procedere, cioè nel suo stesso dire, assimila il lettore ai protagonisti, in questo caso ai figli del giaguaro che è la personificazione mitica della foresta. É coinvolgente come lo sono le cerimonie con il loro impeto, la loro trionfale cadenza ossessiva.
Questa umanità elementare nei suoi bisogni, complessa nei suoi rapporti simbolici con la vita, integrata con la natura. protetta dalla onnipresente maternità del giaguaro, dopo che è stata cacciata e snidata dal suo inconsapevole ma geloso paradiso, compie la sua rivoluzione con l’esodo verso le città. Qui subirà e restituirà la violenza di un mondo alieno in cui tutto è stravolto. Sentire, e vedere tutto questo dalla parte delle vittime è la prima fiera originalità dell’opera.
La sensibilità e la finezza lirica dei brevi componimenti allineati dei quali è costituita serialmente sono di coralità illimitata. E questo canto onnivoco e totale svetta in acuti che non la rompono ma la sublimano.
É raro che le molte attitudini di una persona impegnata in studi e ricerche, che ha inoltre una ardita battaglia civile da sostenere, si realizzino e si compongano ultimamente in un’opera di poesia; così accesa, così animata come non potrebbe essere senza un’adesione piena, un amore assoluto, ideale e sensuale, al proprio tema.