«La parola di Dio», una poesia tra terrestre e celeste

Un’antologia dei testi di Mario Luzi, curata dall’Associazione Mendrisio, arricchita da incisioni d’arte.

«La parola di Dio», una poesia tra terrestre e celeste

di Marco Marchi su “La Nazione” (Firenze)

Dio disse e fu fatto. Solo la parola di Dio è assoluta, solo la sua opera si risolve in creazione, solo le sue scritture possono dirsi davvero ispirate, sacre per definizione. Al nodo dell’imperfezione, al crocevia della fallibilità e della riabilitante ricerca di un possibile riscatto dopo la cacciata dall’Eden si situano invece le motivazioni più profonde e implicanti dell’esercizio della poesia. Ne deriva, in un grande autore come Luzi, nella sua alta obbedienza ad una vocazione e a un talento, un’idea del fare poesia come atto integralmente umano e nel contempo religioso: anche allorché temi del canto possano essere stati non soltanto le appaganti certezze ma anche il dubbio, l’interrogazione, lo smarrimento, perfino il bruciante sconcerto di un mistero rimasto brutalmente tale, inerte e chiuso in se stesso. Una incandescente materia posizionata fra «terrestre» e «celeste», un ungarettiano «segreto» per ogni poeta irresistibile.

In questa prospettiva interlocutoria, si situa la bella iniziativa promossa da Paolo Andrea Mettel e dalla svizzera «Associazione Mendrisio Mario Luzi»: un volume intitolato: Su ‘La parola di Dio’, che è una splendida silloge di testi luziani di argomento religioso, in versi e in prosa, acutamente prefata da Bruno Forte, accompagnata da un illuminante scritto di Carlo Carena e da opere d’arte riprodotte: fra cui spicca, proprio in copertina, il ritratto di Luzi eseguito dall’incisore materano Pietro Tarasco.

L’incarico del Papa
Quando Wojtyla chiese al poeta di scrivere i testi per la Via Crucis, ebbe un dubbio come risposta.

Quando nel 1999 Giovanni Paolo II chiese a Mario Luzi di scrivere i testi per la Via Crucis al Colosseo, il poeta rispose dapprima con un dubbio, con la naturalissima professione di un esitante senso di inadeguatezza rispetto all’incarico. Ma quell’iniziale, sommesso e incerto «Non so se sono all’altezza» con cui Luzi reagì, fu poi smentito da testi: testi concretamente composti, umane creazioni in cui un Dio fatto uomo come il Cristo è intimamente seguito nella sua dolorosa via che lo conduce, prima che allo spolpato traguardo resurrezionale di ricongiungimento alle pienezze del divino, alla morte, e ad una morte compartecipata all’ennesima potenza, insensata e cruenta come quella di una crocifissione. La poesia di Luzi, allora, vinse sull’inadeguatezza e sul silenzio.