Cinque anni senza Mario Luzi, ma i suoi versi sono eterni

Domani l’anniversario della morte del poeta, iniziative per ricordarlo a Firenze e a San Miniato

Domani è il quinto anniversario della morte del poeta Mario Luzi. Firenze lo ricorda con un reading pubblico alle 17,30 sotto l’Arco di San Pierino; un altro ricordo è in programma a San Miniato (Pisa) alle 16,30 all’Accademia degli Euteleti.

di Marco Marchi*

Cinque anni senza Mario Luzi, ma ricordarlo riempie di gioia. Ci restano i suoi versi straordinari, ai vertici del Novecento, fino ad un libro straordinario come il postumo Lasciami, non trattenermi; ci restano, da continuare a conoscere ed amare, i luoghi della vita che abbiamo attraversato con lui, con l’esempio della sua poesia.

Luoghi da ripercorrere ancora insieme, «dalle foci alle sorgenti», secondo quella regola eterna, da lui appresa, della «fine» e del «ricominciamento»: come fossero le acque perenni di un unico fiume che continua a scorrere, permettendo alla nostra «barca», il cui nocchiero è rimasto saldamente al nostro fianco, di «vedere il mondo», di coglierne il «sospiro profondo». Non una memoria di morte, ma di vita: da «poesia naturale», da poesia della trasformazione, del dramma e del ritrovato accordo.

Frammenti di Novecento è il titolo a suo tempo scelto da un critico per un libro-intervista al poeta. Un titolo quanto mai in carattere con la poesia di Luzi, nel suo implicante divaricarsi fra il plurale del «molteplice» e il singolare di un «unitario» alluso, che a quei frammenti, parte di un tutto, sovrintende. Come nei titoli stessi del poeta, tutti giocati su questa stretta dinamica interna: Frasi e incisi di un canto salutare, Per il battesimo dei nostri frammenti. È stato Luzi e non altri, d’altronde, ad individuare con tempestività e chiarezza il sostanziale problema della poesia moderna nel confronto drammaticamente impostosi tra le ragioni del frammentario, del disgregato e del molteplice, e quelle dell’unitario. Un confronto storicamente montante, fattosi nel corso degli anni solo più tragico e violento. «La poesia — scriveva Luzi negli anni Cinquanta — respira un profondo bisogno di unità laddove la vita psichica e la vita organizzata degli uomini d’oggi è estremamente frammentaria. Ma quella sintesi potrà operarsi oggi nella realtà quando manca ogni seria premessa a concepire integralmente il mondo come realtà che ha principio e termine in se stessa? Oppure la poesia dovrà adattarsi a vivere in sparsi e bruti frammenti?».

Ma la poesia di Luzi e l’alta riflessione a margine che ad essa si è sempre accompagnata hanno saputo distinguere con sicurezza tra vivace, animato «frammento» e inerte, morto «frantume». L’autore stesso, a commento di un’esperienza allora in corso, giunse una volta a dichiarare: «Ciò che unicamente ci rassicura è la vita in sé, lo spandersi continuo della vita sul pianeta nell’universo».

Luzi è stato così l’insostituibile messaggero di una vicenda di creazione incessante, fra dolore e speranza: da testimone profetico del «giusto della vita», da insigne artefice e, insieme, da anonimo personaggio partecipe dell’«opera del mondo». Proprio come dicono in maniera mirabile, rigorosa ed esaltante, alcuni suoi versi: «Questo mi perdo a pensare, questi grumi / di vita dissipati dalmondo / eppure impressi a fuoco in una sua memoria latente / da cui non mi distinguo in nulla io scriba / altro da quella non essendo, da quella e dalla sua sofferenza» (Al fuoco della controversia).

*Docente di Letteratura italiana moderna e contemporanea dell’Università di Firenze