A proposito de “Il libro di Ipazia”

intervista di Rosanna Pozzi

Firenze, 25 maggio 1993

Rosanna Pozzi:
Ho intravisto in questa sua prima opera teatrale la chiarificazione oggettiva di quella che è la caratteristica costante di tutta la sua poesia, anche della primissima, quella che nasceva dalla “fisica perfetta, da ciò che realmente sentivo”, cioè il rapporto vivo e concreto con la realtà, quindi un approdo al teatro come segno di più-realtà, di un crescente amore al reale. Cosa ne pensa?

Mario Luzi:
-Certo, è un rapporto più interno, che è dentro al formarsi della realtà, perché la realtà non è mai una cosa definitiva, cioè non è un oggetto circoscritto ed immobile, è un evolversi…e poi bisogna fare i conti con quello che è invenzione della mente,dello spirito.Nel teatro questo processo di contrazione e di definizione della realtà è più diretto, è più dentro la dialettica delle cose.
A proposito degli inizi poi, della “fisica perfetta”, frutto del mio primo contatto consapevole con la vita, è vero, mi s’imponeva già a quel tempo la necessità del reale, di cogliere il reale, e in seguito, dopo gli anni della guerra, dell’odio, dell’orrore, quando in poesia la realtà , se era presente, era allegorizzata, o scavalcata anche nella più intensa ansia metafisica, volli rappresentare la vita, l’essere nell’esserci.-

Rosanna Pozzi:
Il libro di Ipazia, infatti, ha avuto origine dallo sviluppo di un dialogo reale, di “un doloroso contrasto”, intimo e sofferto, oggettivato in personaggi storici, ricchi dell’umanità di alcune persone precise che incrociarono la sua vita.
Nella tesi ho cercato di individuarle, non per il gusto curioso dell’identificazione, ma proprio per sottolineare la messa in scena di un intenso rapporto con il reale, di una vita, di una parola, che è testimonianza al suo culmine massimo in Ipazia.

Mario Luzi:
-Sì, specialmente in Ipazia:senza Ipazia, il destino di Ipazia, il destino di lei, non avrei riconosciuto, anzi nessun personaggio-persona avrebbe riconosciuto il proprio destino.-

Rosanna Pozzi:
Leggendo le pagine di Cristina Campo/Ipazia, la raccolta di saggi intitolata Gli imperdonabili, ho percepito una forte assonanza con i temi della sua poesia ed in particolare di questo testo teatrale: il ricorrere della parola destino, il tema del compimento, dell’illuminazione, l’importanza della parola, del “valore massimo di ogni parola”.
E poi in Cristina Campo-Ipazia, ho intravisto l’immagine di una Beatrice dantesca, di una luminosa guida per la vita di Sinesio, per la vita di Mario Luzi.

Mario Luzi:
– Certo, c’è tutto questo e se c’è una Beatrice dantesca è proprio lei.
Curioso e paradossale è però che lei, Ipazia, che non è cristiana, in fondo è lei che fa la fine della martire , la fine cristiana, è lei che testimonia, martirizzata come una cristiana.-

Rosanna Pozzi:
Mi sembra che Ipazia testimoni il passaggio dalla filosofia, da un mondo di speculazione astratta ad una più profonda immersione nel reale, al sacrificio nella concretezza della vita.
Forse è una lettura mia, troppo personale o forzata…

Mario Luzi:
– No, è una lettura che mi convince, anche perché effettivamente lei dalla sicurezza intellettiva passa all’inquietudine conoscitiva, quando parla con Una Voce, effettivamente ha questo aspetto, è una lettura che mi convince.
Certo non è che quando uno scrive sappia a priori…, però la figura mi è stata congeniale da subito anche per questo, per questa sua compattezza intellettiva di inzio, che poi invece diventa recovazione in dubbio davanti all’interrogativo, davanti agli eventi.-

Rosanna Pozzi:
Nel testo infatti è molto suggestivo il gioco consapevole o inconsapevole che lei attua nel contrasto tra la prefiguarzione della figura di Ipazia così ricca di forza, di luce, di ardore nelle parole di Gregorio e di Sinesio e il suo apparire sulla scena come prostrata di fronte all’incrinarsi di quello in cui aveva creduto, fino al recupero e al sacrificio di sé.

Mario Luzi:
– Sì c’è tutto questo, ma c’è anche un po’ l’orgoglio della testimonianza. Anche se le incrinature c’erano già state tutte, Ipazia vuole fronteggiare la prova per fedeltà ad una tradizione, alla storia.-

Rosanna Pozzi:
Ho colto nelle voci dei personaggi femminili il perpetuarsi del messaggio, della testimonianza, del valore della parola, che diventa pensiero, poi azione e poi ancora sofferenza.Se Ipazia è il sacrificio e la testimonianza, Irene, come indica il mone stesso, è pace ed è una donna che si intravede già in Nel Magma, caratterizzata da forte fede, splendida bellezza, da un riso e da un canto che mi ricordano un’altra donna dantesca, Matelda.
In Irene (la donna di Mènage, Terrazza, India, Accordo) si realizza la possibilità di contemplare la verità presente, il richiamo per Sinesio al cristianesimo, attraverso una presenza, non una visione o un’immaginazione.

Mario Luzi:
– Sì concordo pienamente con lei.-

Rosanna Pozzi:
Forse in Irene si accentra la voce di verità della sua poesia fino a questo momento, verità sempre unita ad un elevato valore formale, stilistico.
Nella sua poesia c’è unione di vertice umano e stilistico, la sua parola sa e vuole comunicare qualcosa, testimoniare qualcosa, una verità possibile, non una risoluzione, non “una chirurgia del cuore”, ma un significato ultimo per il reale, che valga anche per la morte.

Mario Luzi:
– E’ presente in questa pièce teatrale come un venire al dunque, dopo la meditazione e la lettura di una tradizione poetica, e la testimonianza di Ipazia, chiarita dalle parole di Irene, ha questo valore, come dice lei, di passaggio dalla filosofia alla vita, e più precisamente ad una resa dei conti sulla vita, sul valore della parola, della poesia.-

Rosanna Pozzi:
A questo proposito mi stupiva, leggendo Gli imperdonabili , la coincidenza tra il suo essere poeta e l’affermazione di Cristina Campo:”Un tempo il poeta era là per nominare le cose: come per la prima volta, come nel giorno della creazione. Oggi egli sembra là per ricordarle agli uomini, eternamente, dolorosamente, prima che siano estinte”.

Mario Luzi:
– Sì, certo il compito del poeta è quello di ricordare la realtà, le cose ma anche di farle coincidere: di far coincidere la parola e la cosa, con il dolore della prova, della testimonianza, per arrivare alla resa dei conti ed anche ad una ricongiunzione dei significati.-

Rosanna Pozzi:
Infatti Irene dice a Sinesio:”Tu hai il nome e l’essenza tu hai la prospettiva del tempo”, Sinesio incarna proprio la synesis, l’unione della sapienza filosofica neoplatonica e quella cristiana, il suo nome coincide totalmente con il suo essere, con il suo trovarsi in quel punto e in quel luogo del tempo.

Mario Luzi:
– Sì, molto bene, è una lettura acutissima del testo, mi convince molto. E’ un’intuizione che penetra il testo, il valore della parola. La condivido.-

Rosanna Pozzi:
Alcuni critici come la Nugnes, Raboni, Pautasso hanno accostato il Libro di ipazia a Murder in the cathedarl di T.S .Eliot, per la coincidenza di una situazione di martirio, di meditazione sulla violenza dei tempi, per il comune approdo ad un teatro di poesia. Ho riscontrato nel suo dramma una maggior positività, poiché si conclude con la proposta finale di un fuoco presente, che ha tutta la memoria del fuoco eracliteo ed ormai la consistenza dell’ardore del Verbo, della parola cristiana.In quali termini si può stabilire il rapporto della sua prima opera teatrale con il dramma di Eliot?

Mario Luzi:
– Sì, in Eliot c’è un forte senso della perdizione… Eliot è certo una lettura molto importante, ed anche questa idea di teatro in cui i conflitti intellettuali arrivano alla prova del sangue, se vogliamo, questo glielo dobbiamo tutti.
Certo questo suo testo è stato importante. Io non so quanto ci posso aver avuto di rispecchiamento, mi riesce difficile calcolarlo, a livello di drammaturgia intendo.
Certamente la drammaturgia di Eliot è interessante, anche se è preterimpostata, quasi prevenuta, qui invece è più fluente, immediata.
Eliot ha certo aperto delle possibilità per il teatro moderno, lo ha risvegliato ed io lo considero una lettura molto importante, senza dubbio.-

Rosanna Pozzi:
Il Libro di Ipazia è la concreta realizzazione delle aspettative di Eliot, delle sue riflessioni sulla Possibilità di un teatro di poesia :nasce dal contatto con il presente, “da presentazione di pensieri o di sentimenti che si realizza nel racconto di certi avvenimenti nella vicenda umana oppure si concreta in oggetti del mondo esterno”, e lei non è stato “costretto a sciupare grandi energie in ricerca formale” perché già a partire da Nel magma si era definita la vocazione al dialogo e soprattutto ad un verso prosastico, recitativo, che traeva alimento dalla tradizione: traduzione dell’Andromaca di Racine e del Riccardo II di Shakespeare.

Mario Luzi:
– Certamente, per quanto riguarda il verso mi aiutò molto la traduzione da Shakespeare ed anche da Racine.
Questa voce guidata da una disciplina metrica e ritmica, ma libera nello stesso tempo, mi si era profilata come una possibilità.
Racine ha una versificazione fissa , il verso alessandrino, in italiano il martelliano, sarebbe la morte di qualsiasi testo italiano! Però, nella traduzione, liberando questa sostanza, senza lasciarla all’inerzia della prosa, ma anzi ripescando questo complesso di valore ritmico più liberamente, aveva dato questa prova, che era un aiuto per l’attore. L’attore è infatti favorito da questi complessi ritmici, che sono disciplinati ma nello stesso tempo non schiacciati.
Questo mi era derivato anche dalla traduzione del blank verse di Shakesperae, tutto questo mi aveva preparato, certamente insieme a Nel magma.-

Rosanna Pozzi:
Come in Eliot, come in Shakespeare così ne Il Libro di Ipazia è presente il tempo storico, la crisi dell’impero, del potere. Quanto è importante in relazione al tempo presente, che spessore ha “la molto allusiva equivalenza dei tempi”?

Mario Luzi:
– Il trapasso di un’epoca, di una transazione traumatica, tragica e nello stesso tempo eccitante, che mi aveva colpito e che rifletteva evidentemente una condizione nostra, che forse mi si è anche chiarata, cioè mi viene dall’interno questo riferimento.
Non è che io sia partito con l’idea di allegorizzare il mio tempo, ma è questo incontro un po’ misterioso, incalcolabile, comunque indefinibile con questa stagione che mi ha poi, entrandoci dentro, colpito l’immaginazione ed aiutato ad illuminare la condizione nostra di quegli anni, di questi anni, che durano e perdurano:è faticoso il mutamento,sì, il mutamento.
Quindi, questa metamorfosi perenne,che si concentra in certi periodi , in certi episodi, in certe persone ha un valore un po’ di declinazione, per chi è travolto o immenso in una vicenda come quella in cui stiamo vivendo.
Allora di crollo del muro di Berlino ancora non si parlava, però che era in crisi tutto questo, questa divisione artefatta, assurda del mondo, stava delineandosi e a me sembrò di averlo percepito.
Naturalmente c’è reciprocità tra quello che si ricava da un episodio e quello che gli prestiamo dall’interno della nostra esperienza, però in questo caso direi proprio è più forse il contributo di lucidità che mi ha dato l’immersione in questo tempo alessandrino, di quello che io potevo portare.
In fondo oggi a distanza è un ulteriore aiuto intravedere la meta.-

Rosanna Pozzi:
Il mutamento dei tempi, della storia, sottolineava prima, e al suo interno il mutamento degli individui, mai cancellati, mai dimenticati,la metamorfosi collettiva e ancor prima individuale, testimoniata da tutti personaggi del Libro di Ipazia, ad esclusione di quelli collegati al potere:Porfirio, Dionigi e Demetrio, soprattutto Dionigi e Demetrio, ottusamente legati ad una conservazione.

Mario Luzi:
– Certo , sono congelati in un ruolo, è poi sempre stato così, d’altra parte è una dialettica necessaria, qualcuno deve fare la parte dello sciocco!-

Rosanna Pozzi:
Sono necessari e poi all’interno del secondo tempo drammatico movimentano l’azione, fanno progredire il dialogo, vivacizzano il tono pensoso di Sinesio, drammaturgicamente hanno un ruolo importante.
Non so se la mia è una lettura sbagliata, però penso che il suo sia un “teatro di parola”, con una forza linguistica, evocativa a livello di concreta fisicizzazione delle immagini davvero grande, che nel contempo ha una fortissima vocazione scenica e forza scenica.

Mario Luzi:
– Quando scrissi Il Libro di Ipazia non ero convinto di questo, la scrissi senza pensare alla sua eventuale scenicità, sentivo questa incarnazione della parola.
Poi, invece, convinto dal regista Orazio Costa e da Ilaria Occhini, ho avuto una prova della sua scenicità.-

Rosanna Pozzi:
Anche la città è un personaggio vivo all’interno del dramma, vi emerge con forti immagini e potrebbe essere visivamente concretato sulla scena, anche se si rischierebbe di distrarre dalla parola, di aggiungere qualcosa di superfluo.

Mario Luzi:
– Sì, certo, penso che nella parola c’è già un po’ tutta la scenografia, anzi non aggiungo mai notizie, indicazioni o didascalie, ma insomma un riflesso dell’esterno della città non distrurberebbe, ciò che conta è che trapeli la negatività in cui versa Alessandria d’Egitto, il clima di sospensione ad eventi che ancora non si conoscono.
Sinesio vive in questa situazione di sospensione e percorre un cammino verso la coscienza, il mutamento lento e pensoso, ma continuo e aperto verso la coscienza di sé; è in attesa del Messaggero, del significato.-

Rosanna Pozzi:
L’attendere di Sinesio è un attendere del tutto diverso da quello di Attendand Godot di Samuel Beckett, che significativamente si esprime in due tipi di teatro totalmente differenti.
L’attesa di Vladimiro ed Estragone è schizofrenia e confusione, è finale ed ultima inazione, per Sinesio invece l’attesa confusa e pensosa si traduce in forza operante, in azione di testimonianza. Cosa ne pensa?

Mario Luzi:
– Certo non mi è mai piaciuto il teatro che porta sulla scena la vita divisa, scomposta, nei miei testi vorrei comunicare qualcosa, la mia parola desidera comunicare la speranza.

Rosanna Pozzi:
Quanto ha derivato dall’Ipazia della storia, dall’Ipazia che emerge in particolar modo dall’epistolario di Sinesio?
Comune è l’affetto , la tenerezza del discepolo verso la maestra di filosofia e l’ammirazione per questa donna eccezionale, per conoscenza e fascino, ma l’ardore del fuoco, la forza bruciante che lei ha impresso attraverso le parole di Gregorio e Sinesio al personaggio di Ipazia, se non sbaglio, è una sua esclusiva caratterizzazione.

Mario Luzi:
– Certamente Sinesio è una sorta di mio alter ego ed il suo rapporto con Ipazia mi è sempre sembrato fascinoso, la mia Ipazia si “fuocalizza”, come spesso accade nella mia poesia, per un desiderio di riportare la realtà agli elementi primigeni, alla forza degli elementi primi.-

Rosanna Pozzi:
Il primo input per la composizione del dramma di Ipazia le derivò dalla lettura di una edizione degli Inni di Sinesio, preceduta da un ampio commento di Nicola Terzaghi. Quanto trasferì nel suo testo di quella lettura?

Mario Luzi:
– Sì, era un’edizione un po’ rara e particolare, comunque tutto viene da lì, il primo fermento, ma non so davvero calcolare cosa sia passato nel mio testo e sicuramente ciò che maggiormente mi aveva colpito di Sinesio era questo suo rapporto con Ipazia, la forza di fascinazione di questa donna su di lui e il tempo di trapasso di quel mondo alessandrino.-