Dom Bernardo Abate di San Miniato

Dom. BernardoDom Bernardo Francesco Gianni

benedetto Abate di San Miniato al Monte

13 dicembre 2015 – Domenica “Gaudete”

Carissimo Padre Arcivescovo Giuseppe, grazie di aver percorso stamattina gli stessi passi che il suo predecessore Vescovo Ildebrando fece, quasi mille anni, fa salendo su questa collina, intuendo che questo monte posto ad oriente della città dovesse custodire un lucernario, vorrei dire una specola che piena di luce, la luce che sorge ogni giorno dopo aver restituito alle tenebre della notte la luce e la forma delle cose, ricordasse a tutta Firenze, come lei prima ci ha ricordato e fatto intuire, che la nostra storia non viene e non si risolve nel caso, ma è disegno, una storia di salvezza che si lascia intuire attraverso la sapienza con cui Dio ha costruito questo nostro creato e ha donato intelligenza agli uomini e alle donne perché, imitandolo -e qui quanta bellezza del creato è stata imitata e trasfigurata?- si potessero ricordare che tutti noi abbiamo una sorgente, un compimento: l’amore paterno di Dio.

Grazie carissimo Padre Arcivescovo per la stessa fiducia di Ildebrando che allora consegnò a Drogo un bastone, segno di un comando che fosse, come pure ci ha ricordato, servizio e sollecitudine per i suoi monaci, e a me ha restituito quello stesso bastone, quello stesso pastorale, perché mi ricordasse ogni giorno che non devo risparmiarmi nell’amare e nel donare la mia vita per i fratelli che il Signore mi ha donato e che da oggi sono più che mai miei figli in Cristo.

Con loro ogni giorno e ogni notte le promettiamo di continuare a guardare, come sentinelle attente e vigilanti, la nostra e la sua Chiesa, la nostra e la sua città, perché davvero sia profezia di quella pace che, come pure ci ha ricordato Giorgio La Pira con le sue lettere, i suoi discorsi e la sua testimonianza civile e politica, e Mario Luzi e tanti altri ancora, con la loro passione di bellezza e di grazia, potesse davvero brillare nella storia del nostro tempo e in quel futuro preparato da Dio certo migliore, lo diciamo con speranza pasquale, del presente che viviamo.

Una notte, era la notte di Natale del 1992, che ho voluto evocare anche nel piccolo stemma che adorna questi libretti e che vuole sigillare come un timbro, che sia nello stesso tempo bellezza e responsabilità, questo ministero che il Signore mi ha affidato, una notte di Natale del 1992, strappandomi dalle tenebre della disillusione e della rassegnazione, è apparsa al mio cuore una stella cometa, nella chiesa romanica di Rosano. Al canto delle monache il Signore è tornato a parlarmi con forza attraverso l’eloquenza totalmente affidabile del suo volto fatto amore, gemito, bisogno, il volto di un infante, il Bambino Gesù che ci prepariamo a celebrare, come memoria speranzosa, fra qualche giorno.

Quella cometa tracciò per me una via, una via che oso dire senza presunzione, ma con grata umiltà, una via di verità, perché per noi -e coloro che frequentano questo luogo lo sanno- per noi la verità ha la premura dolce e tenera del Signore che si fa carne, che solleva la nostra umanità ferita, che ci persuade una volta di più che le nostre ferite, le nostre sofferenze, la stessa morte non è l’epilogo disperato dei nostri giorni.

Lui mi ha condotto su questa montagnola, sopra Firenze, dove la voce, l’abbraccio, la sapienza umile e gioiosa e sempre speranzosa dell’Abate Agostino, dei suoi fratelli anziani e di coloro che allora abitavano questo luogo, mi ha accolto e mi ha insegnato a diventare, contro le mie debolezze e incertezze, un monaco, testimone del primato dell’amore di Cristo. A loro il mio più profondo e sentito grazie dal cuore.

L’Abate Agostino e la fraternità dei suoi monaci -e non posso dimenticare il Padre Abate Cristoforo che proprio lui, quella notte di Natale dischiuse il mistero della rivelazione al mio cuore, da troppi anni disattento alla sua eloquenza di amore- la paternità dell’Abate Agostino e la fraternità dei suoi monaci, mi hanno insegnato a riscoprire, a rivivere, tutta quella grazia filiale che per necessità di natura, ma soprattutto per libertà di amore, i miei genitori e la mia sorella mi avevano già iniziato ad insegnare. A loro il mio grazie.

Entrare in questa comunità millenaria, ha significato anche scoprirsi partecipe di un mistero ancora più grande del perimetro, pure imponente e maestoso di queste pietre, significava la scoperta di appartenere a una famiglia di famiglie, a una comunità di comunità, a quello che noi monaci di Monte Oliveto amiamo chiamare un unico corpo, che è qui presente attraverso l’autorevole, generosissima, sollecita figura del nostro amatissimo Padre Abate Generale Dom Diego. Egli notte e giorno è sempre disposto a donare il suo tempo e il suo cuore, pronto a rispondere a telefonate che gli arrivano da tutte le parti del mondo, più spesso, troppo spesso ai problemi delle nostre comunità egli non manca mai di donare una parola dolcissima di speranza, di saggezza, di prudenza. A lui il Signore doni una lunga e operosa vita di Padre.

E ancora, fratelli e sorelle carissimi, quale grande mistero il Signore mi ha aiutato a riscoprire su questa collina, benedetta sì di tanta luce e di tanta bellezza, ma anche resa in qualche misura opaca da quel mistero già evocato, quello della morte; qui, mediante questo cimitero, ho imparato a riscoprire questo limite drammatico, ma nello stesso tempo mai enigmatico e sempre invece misterioso, perché rischiarato dalla luce della Pasqua di Cristo, questo cammino di verità e di amore è diventato un percorso di grande speranza perché ho incontrato qui degli splendidi genitori con i quali abbiamo voluto scoprire accanto a queste mura una stanza, una stanza di luce, “La Stanza Accanto”, dove riscoprire il battito palpitante di amore dei loro figli che sono diventati i miei fratelli e le mie sorelle. Grazie. La cattedra della vostra sofferenza e la cattedra della vostra speranza continuano ad essere al mio cuore autorevole riferimento, nel mio tentativo di condividere con voi e con tutti coloro che, come ci ha ricordato il nostro Padre Arcivescovo Giuseppe, si attendono, salendo su questa collina, orizzonti più ampi, liberi e colmi di grazia e di luce di quelli che una troppo angusta visione della nostra esistenza troppe volte ci rassegna a credere come invalicabili. Grazie per questo.

E ancora, avete visto delle persone vestite come voi, ma rivestite di un manto bianco, segno di una condivisione, soprattutto nell’agire quotidiano della loro vita nel mondo, che testimoniano con noi monaci la perenne fecondità del monachesimo di San Benedetto, che nella preghiera, nel lavoro, nell’amore fraterno mostra a tutta l’umanità la feconda via che il Vangelo propone agli uomini e alle donne di ogni tempo. Sono i nostri oblati, li ringrazio per come, con noi e per noi, amano questo luogo. Grazie.

E infine tutti coloro che sono qui sanno che io nel loro cuore ho motivo per dire grazie a quello che insieme abbiamo cercato di trovare, a quello che in parte abbiamo trovato, a quello che insieme abbiamo, con l’aiuto, la potenza, la grazia, l’umiltà di Dio generato insieme e penso a tante innumerevoli famiglie che su questa collina sono nate, dopo tanti anni di amore con cui lo stesso Abate Agostino e tanti altri hanno intuito che l’amore non può restare chiuso nei confini di una pur bellissima Abbazia, ma deve davvero effondersi come ragione di vita, di speranza, di generosa fecondità con cui donare vita alla vita. A loro, ancora una volta il mio grazie.

Mi è profondamente caro un episodio poetico del Santo Papa Karol Wojtyla, lasciatemelo condividere brevemente:

“Quanto tempo è passato
prima che riuscissi a capire che tu non vuoi
che sia padre se al tempo stesso non sono figlio…
accogliere in sé l’irraggiamento della paternità
non significa solo “diventare padre”
significa ancor di più “diventare bambino”
diventare figlio…
Quanto più padre,
tanto più bambino”.

Aiutatemi a restare bambino nelle braccia del Padre che non mi farà mai mancare la sua premurosa sollecitudine, il Signore Gesù, il suo Padre, nella luce dello Spirito Santo.
A loro ogni grazia, a loro ogni gloria, per tutti i secoli dei secoli. Amen